venerdì 30 settembre 2016

Il navigatore e i quattro guai. Matteo 5,1-12

Papa Francesco, Meditazione mattutina Lunedì, 6 giugno 2016

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.128, 06-07/06/2016)

Se le beatitudini sono «il navigatore per la nostra vita cristiana», ci sono anche le «anti-beatitudini» che sicuramente ci faranno «sbagliare strada»: è dall’attaccamento alle ricchezze, dalla vanità e dall’orgoglio che ha messo in guardia Francesco indicando nella mitezza, che non va confusa certo per «sciocchezza», la beatitudine su cui riflettere di più. E così nella messa celebrata lunedì mattina 6 giugno, nella cappella della Casa Santa Marta, il Pontefice ha suggerito di rileggere le pagine evangeliche sulle beatitudini scritte da Matteo e Luca.
«Possiamo immaginare» ha affermato Francesco, in quale contesto Gesù ha pronunciato il discorso delle beatitudini, così come lo riporta Matteo nel suo Vangelo (5, 1-12). Ecco allora «Gesù, le folle, il monte, i discepoli». E «Gesù si mise a parlare e insegnava la nuova legge, che non cancella l’antica, perché lui stesso ha detto che fino all’ultima jota dell’antica legge dev’essere compiuta». In realtà Gesù «perfeziona l’antica legge, la porta alla sua pienezza». E «questa è la legge nuova, questa che noi chiamiamo le beatitudini». Sì, ha spiegato il Papa, «è la nuova legge del Signore per noi».

La batteria del cristiano. Matteo (5, 13-16)

Papa Francesco, Meditazione mattutina, Martedì, 7 giugno 2016

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.129, 08/06/2016)

Se il cristiano cede alla tentazione della «spiritualità dello specchio», non alimenta la sua luce con la «batteria della preghiera» e guarda «solo a se stesso» senza donarsi agli altri, viene meno alla sua vocazione e diventa come una lampada che non illumina e come sale che non insaporisce. Papa Francesco ha preso dalla liturgia il celebre paragone evangelico sottolineando l’efficacia del linguaggio di Gesù che «sempre parla ai suoi con parole facili» affinché «tutti possano capire il messaggio». Nel brano di Matteo (5, 13-16), ha sottolineato il Pontefice, si trova infatti «una definizione dei cristiani: il cristiano deve essere sale e luce. Il sale insaporisce, conserva, e la luce illumina». Un esempio che invita all’azione, giacché «la luce non è per fatta per essere nascosta, perché nascosta neppure si conserva: si spegne» e «neppure il sale è un oggetto da museo o da armadio, da cucina, perché alla fine si rovina con l’umidità e perde la sua forza, il suo sapore».
Ma, si è chiesto il Papa, «come facciamo per evitare che la luce e il sale vengano meno?», cioè, «come si fa per evitare che il cristiano venga meno, sia debole, si indebolisca proprio nella sua vocazione?». Una risposta può venire da un’altra parabola, quella «delle dieci ancelle (Matteo, 25, 2): cinque stolte e cinque sagge». La saggezza e la stoltezza, ha spiegato Francesco, viene dal fatto «che le une avevano portato con sé l’olio, perché non mancasse» mentre le altre, «giocherellando con la luce», si sono «dimenticate» e la loro luce finì con lo spegnersi. Del resto, ha aggiunto il Papa con un esempio più attuale, «anche la lampadina, quando incomincia a indebolirsi, ci dice che dobbiamo ricaricare la batteria».

mercoledì 28 settembre 2016

La santità del negoziato. Matteo (5, 20-26)

Papa Francesco, Meditazione mattutina Giovedì, 9 giugno 2016

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.131, 10/06/2016)

Bisogna vivere «la santità piccolina del negoziato», ossia quel «sano realismo» che «la Chiesa ci insegna»: si tratta, cioè, di rifiutare la logica del «o questo o niente» e di intraprendere la strada del «possibile» per riconciliarsi con gli altri.  Con una piccola nota di tenerezza: durante l’omelia un bambino si è messo a piangere ma Francesco ha subito rassicurato i genitori: «No, rimaniamo tranquilli, perché la predica di un bambino in chiesa è più bella di quella del prete, di quella del vescovo e di quella del Papa. Lascialo fare: lascialo fare, che è la voce dell’innocenza che ci fa bene a tutti».
Per la sua riflessione, il Papa ha preso le mosse dal brano del Vangelo di Matteo (5, 20-26), proposto dalla liturgia: «Gesù è in mezzo al suo popolo e insegna ai discepoli, insegna la legge del popolo di Dio». Infatti «Gesù è quel legislatore che Mosè aveva promesso: “Verrà uno dopo di me...”». Egli dunque è «il vero legislatore, quello che ci insegna come dev’essere la legge per essere giusti». Ma «il popolo era un po’ disorientato, un po’ allo sbando, perché non sapeva cosa fare e quelli che insegnavano la legge non erano coerenti». Ed è Gesù stesso a dire loro: «Fate quello che dicono, ma non quello che fanno». Del resto, «non erano coerenti nella loro vita, non erano una testimonianza di vita». Così «Gesù, in questo passo del Vangelo, parla di superare: “La vostra giustizia deve superare quella degli scribi e dei farisei”». Dunque, «a questo popolo un po’ imprigionato in questa gabbia senza uscita, Gesù indica il cammino per uscire: è sempre uscire in su, superare, andare in su».

L'ultimo scalino. Matteo (5, 43-48)

Papa Francesco, Meditazione mattutina Martedì, 14 giugno 2016

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.135 15/06/2016)

Sulla strada del cristiano «non c’è posto per l’odio»: se, come «figli», i credenti vogliono «assomigliare al Padre», non devono limitarsi alla semplice «lettera della legge», ma vivere ogni giorno il «comandamento dell’amore». Fino ad arrivare «a pregare per i nemici»: cioè all’«ultimo scalino» che è necessario salire per guarire il «cuore ferito dal peccato». Così Papa Francesco ha sottolineato come Gesù, ribaltando l’idea di «prossimo», sia venuto per portare la legge alla «pienezza». Gesù infatti — ha detto — è «venuto non per cancellare la legge», colpa di cui era accusato dai suoi nemici, ma «per portarla alla pienezza». Tutta, «fino all’ultimo iota».
All’epoca, infatti, i dottori della legge ne davano «una spiegazione troppo teorica, casistica». Di fatto, ha spiegato il Pontefice, era una visione «in cui non c’era il cuore proprio della legge, che è l’amore» dato da Dio «a noi». Al centro non c’era più quello che nell’Antico testamento era il «comandamento più grande» — ovvero «amare Dio, con tutto il cuore, con tutte le tue forze, con tutta l’anima, e il prossimo come te stesso» — ma una casistica che cercava solo di capire: «Ma si può fare questo? Fino a che punto si può fare questo? E se non si può?».

L'atmosfera e lo spazio Matteo (6. 7-15)

Papa Francesco, Meditazione mattutina Giovedì, 16 giugno 2016

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.137 17/06/2016)

«Padre» è la parola che non può mai mancare nella preghiera, perché è «la pietra d’angolo» che «ci dà l’identità cristiana». Se si aggiunge anche la parola «nostro», ecco che ci possiamo sentire tutti parte di «una famiglia». E così riusciamo anche a «non sprecare parole» o a cercare «parole magiche», ma a vivere fino in fondo la preghiera che Gesù stesso ci ha insegnato — il Padre nostro appunto — soprattutto quando ci invita a saper perdonare gli altri. È un invito a fare «un esame di coscienza» sul Padre nostro la proposta del Papa.
Per la sua riflessione Francesco ha preso spunto dal passo evangelico di Matteo (6. 7-15) proposto dalla liturgia. «Alcune volte — ha ricordato — i discepoli avevano chiesto a Gesù: “Maestro, insegnaci a pregare”». Infatti loro «non sapevano pregare o vedevano come pregavano i discepoli di Giovanni e hanno chiesto a Gesù». Da parte sua. il Signore «è chiaro, semplice, nel suo insegnamento: “Primo — dice — pregando, nella preghiera, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole”».

martedì 27 settembre 2016

Davanti allo specchio (Matteo, 7, 1-15)

Papa Francesco, Meditazione mattutina Lunedì, 20 giugno 2016

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.140 20-21/06/2016)

Ci sono regole chiare suggerite da Gesù per non cadere nell’ipocrisia: non giudicare gli altri per non essere a nostra volta giudicati con la stessa misura; e quando ci viene la tentazione di farlo, è meglio guardarsi prima allo specchio, non per nasconderci con il trucco ma per vedere bene come siamo realmente. Ricordando che l’unico vero giudizio è quello di Dio con la sua misericordia, Papa Francesco ha raccomandato di non cedere alla tentazione di mettersi al posto del Signore, dubitando della sua parola.
«Gesù parla alla gente e insegna tante cose sulla preghiera, sulle ricchezze, sulle preoccupazioni vane, tante, su come deve comportarsi un suo discepolo» ha affermato Francesco. E così «arriva a questo passo del Vangelo sul giudizio», proposto dalla liturgia (Matteo, 7, 1-15). È un brano in cui «il Signore è molto concreto». Se infatti «alcune volte il Signore per farci capire ci racconta una parabola, qui è: “ta, ta, ta”: diretto, perché il giudizio è una cosa che può fare solo lui».

Per una cultura dell'incontro. Luca (7, 11-17)

Papa Francesco, Meditazione mattutina Martedì, 13 settembre 2016

Soffermandosi in particolare sull’episodio della vedova di Nain narrato nel vangelo di Luca (7, 11-17), il Pontefice ha sottolineato come «la parola di Dio» del giorno parlasse di «un incontro. C’è un incontro fra la gente, un incontro tra la gente che era sulla strada». E questa, ha commentato, è «una cosa non abituale». Infatti, «quando noi andiamo per la strada ognuno pensa a sé: vede, ma non guarda; sente, ma non ascolta»; insomma ciascuno va per la propria direzione. E di conseguenza «le persone si incrociano fra loro, ma non si incontrano». Perché, ha chiarito sgombrando il campo da ogni equivoco, «l’incontro è un’altra cosa», ed è proprio «quello che il Vangelo oggi ci annuncia: un incontro fra un uomo e una donna, fra un figlio unico vivo e un figlio unico morto; fra una folla felice, perché aveva incontrato Gesù e lo seguiva, e un gruppo di gente, che piangendo accompagnava quella donna», rimasta vedova che andava a seppellire il suo unico figlio.

Sotto il mantello. Giovanni (19, 25-27)

Papa Francesco, Meditazione mattutina (Beata Vergine Maria Addolorata)


In un mondo di orfani, Maria è la madre ci comprende fino in fondo e ci difende, anche perché ha vissuto sulla propria pelle le stesse umiliazioni che oggi, ad esempio, subiscono le mamme dei detenuti. 
Papa Francesco ha suggerito di rifugiarsi sempre, nei momento difficili, «sotto il mantello» della madre di Dio, riproponendo così «il consiglio spirituale dei mistici russi» che l’occidente ha rilanciato con l’antifona Sub tuum preasidium.

La logica del dopodomani. Luca (8, 1-3)

Papa Francesco, Meditazione mattutina Venerdì, 16 settembre 2016


Il cristiano deve avere il coraggio di vivere con «la logica del dopodomani», cioè nella certezza della «risurrezione della carne» che è anche «la radice più profonda delle opere di misericordia». E dalle tentazioni di farsi condizionare da una «pietà spiritualista» o di fermarsi solo alla «logica del passato e del presente». Rilanciando la verità della «logica della redenzione, fino alla fine».
«Quando sento questo passo del Vangelo mi fa sorridere un po’ — ha confidato — perché alcuni apostoli ce l’hanno contro la Maddalena: Luca, anche Marco, sempre ricordano il passato» tanto da scrivere che da lei «erano usciti sette demoni». Ma «povera donna, è stata l’apostola della resurrezione, è l’apostola, ma questi non dimenticano». 

La luce non va in frigo. Vangelo di Luca (8, 16-18)

Papa Francesco, Meditazione mattutina (Lunedì, 19 settembre 2016)


Se non si vuole essere cristiani solo «di nome», bisogna far proprio l’impegno quotidiano a «custodire e non nascondere» quella luce che ci è stata data nel battesimo. Un impegno che si realizza nella vita «di tutti giorni», facendo attenzione a non cedere ad alcune tentazioni nelle quali si è invece portati a cadere. 
Nel Vangelo di Luca (8, 16-18) si parla proprio del tema della luce, «del consiglio di Gesù di non coprire la lampada» e di «lasciare che la luce venga fuori, illumini, perché chi entra veda la luce». Un consiglio, ha fatto notare il Pontefice, ribadito anche nel canto al Vangelo che, citando l’evangelista Matteo (5, 16), invita: «Risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro».

Sull’inquietudine del re Erode Antipa descritta nel Vangelo di Luca (9, 7-9) (Giovedì, 22 settembre 2016)

Papa Francesco, Meditazione mattutina 

Il sovrano «era inquieto» perché quel Gesù di cui tutti parlavano «era per lui come una minaccia». Alcuni pensavano che fosse Giovanni, ma il re si ripeteva: «Giovanni, l’ho fatto decapitare io, chi è dunque costui, del quale sento dire queste cose?». Un’inquietudine, ha fatto notare il Pontefice, che ricorda quella del padre, Erode il grande, il quale, quando giunsero i magi per adorare Gesù, «era stato preso da spavento».
Nella nostra anima, ha spiegato il Papa, «c’è la possibilità di avere due inquietudini: quella buona, che è l’inquietudine dello Spirito Santo, che ci dà lo Spirito Santo, e fa che l’anima sia inquieta per fare cose buone, per andare avanti; e c’è anche la cattiva inquietudine, quella che nasce da una coscienza sporca». Proprio quest’ultima caratterizzava i due sovrani contemporanei di Gesù: «Avevano la coscienza sporca e per questo erano inquieti, perché avevano fatto cose brutte e non avevano pace, e ogni avvenimento sembrava per loro una minaccia». Del resto, il loro modo di risolvere i problemi era uccidere, e andavano avanti passando «sopra i cadaveri della gente».
Chi come loro, ha spiegato Francesco, «fa del male», ha «la coscienza sporca e non può vivere in pace»: l’inquietudine li tormenta e vivono «in un prurito continuo, in una orticaria che non li lascia in pace». Una realtà interiore sulla quale si è concentrata la riflessione del Papa: «Questa gente ha fatto il male, ma il male ha sempre la stessa radice, qualsiasi male: la cupidigia, la vanità e la superbia». Tutte e tre, ha aggiunto, «non ti lasciano la coscienza in pace», tutte impediscono che entri «la sana inquietudine dello Spirito Santo», e «portano a vivere così: inquieti, con paura».