mercoledì 14 dicembre 2016

La sofferenza del Natale (Gianfranco Ravasi)

La nostra particolare lettura dei vangeli dal punto di vista della sofferenza non può non iniziare che dai cosiddetti "racconti dell'infanzia" di Gesù, da noi solitamente collegati al Natale.
«Triste, malinconico, amaro Natale, anche quest'anno sei giunto a noi... »: questo verso iniziale di una lirica di un poeta francese sembra essere a prima vista solo provocatorio. Il Natale è, infatti, la festa per eccellenza della gioia. Si accendono le luci nelle nostre città; le notti sono squarciate dai festoni delle stelle luminose e dalle più volgari insegne al neon; le vie sono percorse dal filo musicale delle zampogne e dei dischi natalizi; si pensa ai regali e a cene sontuose; la civiltà dei consumi ci bombarda con mille segnali pubblicitari. Il Natale è come una tregua annuale in cui trionfano i buoni sentimenti, gli auguri di felicità prevalgono sulle imprecazioni e si moltiplicano tenerezze per i bambini.
In realtà, se dovessimo più attentamente leggere le pagine natalizie dei vangeli, raccolte nei capitoli d'apertura di Matteo e di Luca, scopriremmo che la luce, la pace e la gioia della nascita di Cristo sono striate da tanti segni oscuri di dolore, di amarezza e di paura. D'altra parte è noto che nei cosiddetti "vangeli dell'infanzia", attraverso una fitta serie di allusioni, si vuole far balenare nel ritratto del bambino Gesù già il volto del Cristo crocifisso e risorto. È curioso notare che nelle icone dedicate al Natale la scuola pittorica russa di Novgorod (XV secolo) sempre raffigurato Gesù bambino in una culla che aveva la forma di un sepolcro di marmo. Sul Natale si proietta già l'ombra della croce.

giovedì 1 dicembre 2016

Brani di difficile interpretazione della Bibbia. Le PARABOLE

Fonte: http://www.gliscritti.it/blog/entry/3937

Riprendiamo e commentiamo da V. Fusco, Parabola/Parabole, in Rossano P.-Ravasi G.-Girlanda A. (a cura di), Nuovo Dizionario di Teologia Biblica, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Milano) 1988, alcuni brani che commentano il significato delle parabole. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per altri testi di difficile interpretazione della Bibbia vedi la sezione Brani di difficile interpretazione della Bibbia. Per ulteriori approfondimenti vedi la sezione Sacra Scrittura
Il Centro culturale Gli scritti (27/11/2016)

Gli studi di Vittorio Fusco si incentrano sul fatto che la parabola non è un racconto a sé stante che possa prescindere dalla presenza viva di Cristo. La parabola, invece, indirizza alla novità della presenza di Dio in Gesù. Fusco mostra come tale sottolineatura emerga, anche se in maniera non pienamente consapevole, fin dai primi studi moderni sulle parabole
«Lo studio moderno delle parabole prende avvio con la rimozione [della] confusione tra parabola e allegoria ad opera di Adolf Jülicher (1857-1938), il quale mise in luce il carattere tardivo di questi sviluppi allegorizzanti nei testi evangelici e riscoprì come specifico della parabola il meccanismo argomentativo.
La parabola utilizza una vicenda fittizia che in un primo momento dev'essere considerata soltanto in se stessa, nella sua logica interna, per farne scaturire una conclusione, una valutazione, da trasferire poi - nella sua globalità, non nei singoli dettagli narrativi – alla situazione reale che il parabolista aveva di mira sin dall’inizio.

mercoledì 30 novembre 2016

Brani di difficile interpretazione della Bibbia. Mt 18,20

«Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20): l’ecclesiologia di Matteo nella riflessione di Gérard Rossé. Breve nota di Andrea Lonardo



Il centro culturale Gli scritti (25/11/2009)

Nel saggio L’ecclesiologia di Matteo. Interpretazione di Mt 18,20 [1], G. Rossé riprende un suo precedente e più ponderoso studio - Gesù in mezzo. Matteo 18,20 nell’esegesi contemporanea, Città Nuova, Roma, 1972 - aggiornandolo a partire dalle ricerche di H. Frankemölle [2]. Quest’ultimo ha convincentemente sostenuto come l’ecclesiologia di Matteo non sia stata elaborata in polemica con il giudaismo, quanto piuttosto a partire da una positiva rilettura cristologica del “Dio con noi” della tradizione veterotestamentaria. Se l’AT affermava che Dio dimorava in mezzo al suo popolo, questa verità è, in Matteo, “attualizzata e cristologizzata come presenza di Gesù in mezzo alla sua comunità” (Rossé 1987, p. 12).

Così scrive G. Rossé [3]:

«Matteo ha saputo integrare la teologia dell’alleanza nella sua ecclesiologia [4]Gesù ormai realizza la presenza di Dio in mezzo al suo popolo; egli è il Dio-con-noi della comunità dei discepoli, chiamata però ad estendersi a tutte le nazioni (cfr. Mt 28,19ss).

martedì 29 novembre 2016

Avvento: tempo di sogni con Giuseppe (Mt 1,18-25)

Riprendiamo sul nostro sito un contributo preparato da suor Pina Ester De Prisco per il Sussidio del Centro Oratori Romani 2016/2017. I neretti sono nostri ed hanno l’unica finalità di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (29/11/2016)
Le prime luci dell’Avvento si accendono, riempiendo di attesa le nostre esistenze e Giuseppe si fa compagno di viaggio nel nostro indugiare dinanzi alla grotta di Betlemme, dove nascerà il Figlio di Dio.
Si fa sempre fatica a parlare di Giuseppe, perché nei vangeli si dice poco di lui, ma l’evangelista Matteo ne parla in ben due capitoli, e lo fa con la categoria dei sogni! I sogni, spesso, sono usati nella Scrittura per rivelare la volontà e la Parola di Dio.
Basti pensare alla figura anticotestamentaria del giovane Giuseppe, per comprendere che il tema del sogno non è avulso dalle pagine dell’Antico Testamento. Due sogni guidarono e condussero Giuseppe a diventare principe d’Egitto, passando attraverso un destino di sofferenza e tradimento, fino all’espropriazione dei suoi diritti di “figlio e fratello” (Gen 37,5-10). Sogni, dunque, grandi, ma tortuosi, ma potremmo anche dire tortuosi perché grandi!
Sono i sogni che appartengono anche alle nostre vite, alle nostre famiglie, sogni a cui non vogliamo rinunciare, e che teniamo custoditi nei nostri cuori, nella speranza che possano avverarsi, ma che devono conciliarsi con chi ci è accanto e soprattutto con i disegni di Dio. Sono sogni che attraversano il vaglio dell’evangelo, così come avviene per Giuseppe, lo sposo di Maria, e nel vangelo di Matteo sono riportati ben quattro sogni.

lunedì 28 novembre 2016

Perché Gesù parlava in parabole, di Andrea Lonardo


«Si avvicinarono a Gesù i discepoli e gli dissero: “Perché a loro parli con parabole?”. Egli rispose loro: “Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato”». «Gesù congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: “Spiegaci la parabola della zizzania nel campo”. Ed egli rispose…» (Mt 13,36-37).
Il testo evangelico mostra come le parabole non siano state raccontate da Gesù per venire incontro ai semplici, non sono state pensate per trovare un linguaggio più comprensibile utilizzando esempi della vita di tutti i giorni. Esse al contrario non possono essere capite da soli e richiedono spiegazioni: gli stessi apostoli le debbono approfondire.
La parabola del seminatore, come quella della zizzania, richiedono che si faccia un passo avanti per venire ad un contatto più diretto con Gesù. A lui bisogna chiedere del significato delle parabole.
Ed è questa la via per diventare discepoli del Signore: stare vicino a lui e chiedergli. Tanti ascoltano e si allontanano, senza che le parabole siano diventate per loro l’occasione per stare con il Signore.
Questo è il motivo per il quale Gesù parla in parabole. Egli è la presenza di Dio, è il regno ormai vicino, ma l’uomo deve rispondere con la propria libertà a questa venuta ed avvicinarsi.

martedì 25 ottobre 2016

La salvezza viene dal piccolo. Luca (4, 24-30)

Lunedì, 29 febbraio 2016

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.049, 01/03/2016)

La salvezza di Dio non viene dalle cose grandi, dal potere o dai soldi, dalle cordate clericali o politiche, ma dalle cose piccole e semplici che, alle volte, suscitano persino sdegno. 
«La Chiesa ci prepara alla Pasqua e oggi ci fa riflettere sulla salvezza: come noi pensiamo che sia la salvezza, quella salvezza che tutti noi vogliamo» ha affermato Francesco. E proprio la storia «della malattia di Naamàn», narrata dal secondo libro dei Re (5, 1-15), «ci avvicina al fatto della morte: e dopo?». Infatti «quando c’è la malattia, sempre ci rimanda a quel pensiero: la salvezza». Ma, si è chiesto il Pontefice, «come viene questa salvezza? Qual è la strada per la salvezza? Qual è la rivelazione di Dio a noi cristiani sulla salvezza?».
Per il Papa «la parola chiave per capire il messaggio di oggi della Chiesa è sdegno». Quando «Naamàn, arrivato da Eliseo, chiede la guarigione, Eliseo manda il ragazzo a dirgli di bagnarsi sette volte nel Giordano. Una cosa semplice». Forse proprio per questo «Naamàn si sdegnò» esclamando: «Ho fatto un viaggio così, con tanti doni...»: tutto invece si risolve con un semplice bagno nel fiume. Oltretutto, rincara Naamàn, «noi abbiamo fiumi più belli di questo».

domenica 23 ottobre 2016

L'equazione del perdono. Matteo (18, 21-25)

Papa Francesco, Meditazione mattutina, Martedì, 1° marzo 2016

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.050, 02/03/2016)

È la misericordia l’«asse» della liturgia di martedì 1° marzo. È la «parola più ripetuta» e su questa si è soffermata la riflessione di Papa Francesco durante la messa celebrata a Santa Marta.
In tutta la liturgia della parola risuona questo concetto. Nel salmo responsoriale si ripete: «Ricordati, Signore, della tua misericordia». Ed è, ha spiegato il Pontefice, come «dire: “Ma, ricordati del tuo nome, Signore: il tuo nome è misericordia!”».
Anche nella prima lettura, tratta dal libro del profeta Daniele (3, 25.34-43), la richiesta di misericordia è al centro del racconto. Si legge infatti della «preghiera di Azaria, uno di quei ragazzi che erano nel forno perché non volevano adorare l’idolo d’oro»: questi «chiede misericordia, per lui e per il popolo; chiede a Dio il perdono». Non «un perdono superficiale», non un semplice togliere una macchia «come fa quello della tintoria quando portiamo un vestito». La richiesta, ha sottolineato Papa Francesco, è di un «perdono del cuore» che, quando viene da Dio, «sempre è misericordia».

sabato 22 ottobre 2016

Storia di una fedeltà fallita. Luca (11, 14-23)

Papa Francesco, Meditazione mattutina, Giovedì, 3 marzo 2016

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.052, 04/03/2016)

Riconoscersi peccatori ed essere capaci di chiedere perdono è il primo passo per rispondere con chiarezza, senza intavolare negoziati, alla domanda diretta che Gesù rivolge a ciascuno di noi: «sei con me o contro di me?». L’invito ad aprirsi incondizionatamente alla misericordia di Dio è stato rilanciato dal Papa durante la messa celebrata giovedì mattina, 3 marzo, nella cappella della Casa Santa Marta.
All’inizio della prima lettura, ha fatto notare subito Francesco, il profeta Geremia (7, 23-28) «ci ricorda il patto di Dio col suo popolo: “Ascoltate la mia voce e io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo; camminate sempre sulla strada che vi prescriverò, perché siate felici”». È «un patto di fedeltà». E «ambedue le letture — ha proseguito — ci raccontano un’altra storia: questo patto è caduto e oggi la Chiesa ci fa riflettere sulla, possiamo chiamarla così, storia di una fedeltà fallita». In realtà «Dio rimane sempre fedele, perché non può rinnegare se stesso» invece il popolo inanella infedeltà «una dietro l’altra: è infedele, è rimasto infedele!».

venerdì 21 ottobre 2016

Il filo della speranza. Giovanni (8, 51-59)

Papa Francesco, Meditazione mattutina, Giovedì, 17 marzo 2016

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.064, 18/03/2016)

Spes contra spem, «credere contro ogni speranza»: ecco, stando a san Paolo, la carta d’identità del cristiano. Il quale, sulla scia di Abramo, sa bene che «il filo della speranza», persino nei momenti piu difficili, «corre lungo la storia della salvezza: di più, è fonte di gioia». Questo invito a non perdere mai la speranza, certi che non si resterà delusi, è stato riproposto dal Papa nella la messa celebrata giovedì mattina, 17 marzo, nella cappella della Casa Santa Marta.
«La liturgia di oggi — ha subito fatto notare Francesco — ci prepara alle feste pasquali con la riflessione su quella virtù tanto lasciata da parte, tanto umile, che è la speranza». Nel passo evangelico di Giovanni (8, 51-59), «Gesù parla di Abramo e dice ai dottori della legge: “Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno”».

mercoledì 19 ottobre 2016

Direzione obbligatoria. Giovanni (10, 1-10)

Papa Francesco, Meditazione mattutina Lunedì, 18 aprile 2016

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.089, 19/04/2016)
Le coordinate della vita cristiana sono molto semplici, non c’è bisogno di andare a cercare mille consigli: basta seguire una voce, così come fanno le pecore con il loro pastore. 
La liturgia del giorno, del resto, proponeva una sorta di «eco delle letture» della iv domenica di Pasqua, chiamata appunto «la domenica del buon pastore, in cui Gesù si presenta come il “buon pastore”». E proprio su questo tema, nel Vangelo di Giovanni (10, 1-10) commentato dal Pontefice, emergevano «tre realtà» sulle quali il Papa ha voluto «riflettere un poco: la porta, il cammino e la voce».

Orfani o discepoli. Giovanni (10, 22-30)

Papa Francesco, Meditazione mattutina Martedì, 19 aprile 2016

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.090, 20/04/2016)

Con la preghiera del Padre Nostro Gesù consegna a ciascuno l’atto di paternità: nessuno è orfano ma c’è il rischio di diventarlo chiudendo il cuore e non lasciandoci attrarre dall’amore di Dio.  E il Papa ha anche suggerito di ricorrere a una preghiera umile, con lo spirito del figlio: «Padre, attirami verso Gesù; Padre, portami a conoscere Gesù». Proprio per non avere l’atteggiamento di quei dottori della legge che persino davanti ai miracoli di Gesù e alla sua risurrezione facevano di tutto pur di negare l’evidenza.
Per la sua meditazione, Francesco ha preso le mosse dal passo di Giovanni (10, 22-30), proposto dalla liturgia. «Gesù si confronta un’altra volta con i sacerdoti, i dottori della legge» ha fatto subito notare. E «loro gli fanno la domanda: “Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente”». Del resto quei dottori «tornavano sempre sullo stesso argomento: tu chi sei? Con che autorità fai questo?”». Il Vangelo ci dice che «Gesù rispose loro: “Ve l’ho detto e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. Ma voi non credete”».

martedì 18 ottobre 2016

Cristiani a tre dimensioni. Giovanni (14, 1-6)

Papa Francesco, Meditazione mattutina Venerdì, 22 aprile 2016

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.093, 23/04/2016)

Il cristiano, «uomo di speranza», sa e testimonia che «Gesù è vivo» ed «è fra noi», che Gesù prega il Padre «per ognuno di noi» e che «tornerà». Prendendo spunto dalla liturgia del giorno, il Pontefice ha fatto emergere tre «dimensioni» fondamentali della vita cristiana: l’«annuncio», l’«intercessione» e la «speranza».
Innanzitutto l’annuncio. Come si legge anche nel brano degli Atti degli apostoli (13, 26-33), l’annuncio è sostanzialmente «la testimonianza che danno gli apostoli della resurrezione di Gesù». Così Paolo in sinagoga afferma: «Dopo avere adempiuto tutto quanto era stato scritto di lui, lo deposero dalla croce, lo misero nel sepolcro. Ma Dio lo ha resuscitato dai morti ed egli è apparso per molti giorni a quelli che erano saliti con lui dalla Galilea a Gerusalemme, e questi ora sono testimoni di lui davanti al popolo». Quindi, ha sintetizzato il Pontefice, «l’annuncio è: Gesù è morto ed è risorto per noi, per la nostra salvezza. Gesù è vivo!». Ed è quanto i primi discepoli hanno tramandato «ai giudei e ai pagani del loro tempo» e hanno «testimoniato anche con la loro vita, con il loro sangue».

mercoledì 12 ottobre 2016

Doppia vita. Matteo (11, 25-30)

Papa Francesco, Meditazione mattutina Venerdì, 29 aprile 2016

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.098, 30/04/2016)

I consigli di san Giovanni alla “Chiesa adolescente” del primo secolo sono validissimi anche per noi oggi e Francesco li ha riproposti, rilanciando proprio i contenuti della prima lettera dell’apostolo: non avere una doppia vita e non cedere alla menzogna, consapevoli che pur essendo peccatori abbiamo un Padre che ci perdona. 
«La liturgia di oggi — ha fatto subito notare — ci parla di mitezza, di umiltà; ci parla di ristoro di Dio, quando noi siamo stanchi, oppressi; ci parla di dolcezza». Ed è proprio «quello che Gesù dice nel Vangelo, quando loda il Padre: “Signore, tu hai nascosto queste cose ai dotti e le hai rivelate ai piccoli”». Il Signore, ha aggiunto il Papa citando il passo evangelico di Matteo (11, 25-30), «ci parla di piccolezza, di quella piccolezza che piace a Dio».

martedì 11 ottobre 2016

Il prezzo della testimonianza. Giovanni, 15, 26 - 16, 4

Papa Francesco, Meditazione mattutina Lunedì, 2 maggio 2016

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.100, 02-03/05/2016)

Nella vita del cristiano c’è una «doppia testimonianza»: quella dello Spirito che «apre il cuore» mostrando Gesù, e quella della persona che «con la forza dello Spirito» annuncia «che il Signore vive». Una testimonianza, quest’ultima, da portare «non tanto con le parole» ma con la «vita», anche a costo di «pagare il prezzo» delle persecuzioni.
La liturgia, infatti, continua a proporre brani degli Atti degli apostoli (16, 11-15) con le prime missioni della Chiesa nascente e stralci del discorso di Gesù durante l’ultima cena (Giovanni, 15, 26 - 16, 4). In particolare nel Vangelo del giorno si legge di Gesù che «parla della testimonianza che lo Spirito Santo, il Paràclito, darà di lui e della testimonianza che noi dovremo dare anche di lui». E Francesco ha sottolineato come qui la parola «più forte» sia proprio «testimonianza».

Martini, con le armi dello spirito (Efesini 6)

http://www.avvenire.it/Cultura/Pagine/MARTINI----4.aspx

“Chiediamoci: qual è il combattimento a cui siamo chiamati nella esortazione conclusiva della Lettera di Paolo agli Efesini?”, si domanda Carlo Maria Martini in un testo inedito tratto da un suo corso di esercizi spirituali del 1975 e anticipato da Avvenire l'11 ottobre 2016.

Chiediamoci: qual è il combattimento a cui siamo chiamati nella esortazione conclusiva della Lettera di Paolo agli Efesini (Ef 6, 10ss)? Vorrei dare tre idee fondamentali, sulle quali dovremo ritornare, per cercare di capire perché san Paolo ci parla di combattimento spirituale, qual è questa battaglia dell’anima e perché la vita cristiana è descritta con la metafora della lotta. Il primo pensiero che propongo è questo. Tutta la storia del mondo può essere vista – ed è vista dalla Scrittura – come una grande lotta. Il libro che conclude, che riassume in qualche maniera la Bibbia, cioè il Libro dell’Apocalisse, ci presenta la storia del mondo proprio come una grande battaglia. Prendiamo qualche brano dal capitolo dodicesimo, che si trova al centro dell’Apocalisse. Ci mostra lo scontro che si dipana fra cielo e terra: «Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago; il drago combatteva insieme con i suoi angeli». 

Strada facendo (Gv 14,6-14)

Papa Francesco, Meditazione mattutina Martedì, 3 maggio 2016

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.101, 04/05/2016)

La «strada giusta» si chiama Gesù e per il cristiano il cammino della vita è fatto «un po’ di croce e un po’ di risurrezione». Ma sulla strada c’è chi si ferma come «una mummia spirituale», chi sbaglia direzione e si intestardisce, chi passa l’esistenza girando a vuoto e chi si fa sedurre dalle bellezze mondane: da questi atteggiamenti ha messo in guardia il Papa, invitando espressamente a un esame di coscienza per verificare la propria esperienza di fede.
Il passo evangelico di Giovanni proposto dalla liturgia (14, 6-14) — ha spiegato Francesco — «è parte di quel lungo discorso di Gesù nella ultima cena, il discorso del congedo: lui si congeda prima di andare alla passione». E dice agli apostoli: «Io non vi lascerò orfani; io non vi lascerò soli; io vado a prepararvi un posto». Inoltre, ha fatto notare il Papa, nei «due versetti prima di questo passo che abbiamo ascoltato» si legge: «Dove io vado, voi conoscete la via». Così Tommaso risponde: «Ma, Signore, noi non sappiamo dove vai, come possiamo conoscere la via?». A questo punto inizia il passo evangelico della liturgia del giorno, con Gesù che dice a Tommaso: «Io sono la via». È «la risposta all’angoscia, alla tristezza, alla tristezza dei discepoli per questo congedo di Gesù: loro non capivano tanto, ma erano tristi per questo». Per questo Gesù dice a Tommaso: «Io sono la via».

domenica 9 ottobre 2016

Con gioia e con speranza. Giovanni (16, 20-23)

 Papa Francesco, Meditazione mattutina, Venerdì, 6 maggio 2016

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.103, 07/05/2016)

Il cristiano non anestetizza il dolore, neppure quello più grande che fa vacillare la fede, e non vive la gioia e la speranza come fosse sempre carnevale. Ma trova il senso della sua esistenza nel profilo della donna che partorisce: quando nasce il bambino è talmente felice da non ricordare più la sua sofferenza. 
«Nella liturgia dell’Ascensione del Signore — ha fatto subito notare Francesco, riferendosi alla celebrazione festiva di ieri — la Chiesa esplode in un atteggiamento che non è abituale, e all’inizio la prima preghiera è un grido: “Esulti, Signore, la tua Chiesa!”». Sì, ha proseguito, «esulti, con la speranza di vivere e di raggiungere il Signore: “Esulti di gioia la tua Chiesa”». E, nella preghiera colletta, «oggi abbiamo pregato: “Signore, innalza i nostri cuori verso Gesù!”». Un’invocazione che esprime «proprio la gioia che pervade tutta la Chiesa, gioia e speranza: tutte e due vanno insieme». Difatti «una gioia senza speranza è un semplice divertimento, una passeggera allegria». E «una speranza senza gioia non è speranza, non va oltre un sano ottimismo».

venerdì 7 ottobre 2016

XXVIII Domenica Tempo ordinario Anno C (Luca 17, 11-19)


Gesù è in cammino verso Gerusalemme. Lungo la strada incontra 10 lebbrosi che si rivolgono a lui, da lontano, con un grido semplice e breve: "Gesù, maestro, abbi pietà di noi".

- la condizione dei lebbrosi del tempo: esclusi dalla società per paura del contagio, esclusi dalla religione perchè la loro malattia è considerata una punizione per i loro peccati.

- la lebbra è diventata simbolo della nostra condizione spirituale: il peccato ci corrode ed è contagioso. Allora gridiamo anche noi come i lebbrosi? Chiediamo aiuto al Signore?

- come risponde Gesù al loro grido di aiuto? "Andate a presentarvi ai sacerdoti". Non è uno scaricabarile ("ci pensino loro"), ma un invito a fidarsi del fatto che li guarirà lungo il cammino e potranno mostrare ai sacerdoti la loro guarigione ed essere così riammessi nella società.

Filippo Neri e la gallina (Gv.17,20-26)

Papa Francesco, Meditazione mattutina, Giovedì, 12 maggio 2016

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.108, 13/05/2016)

Un bel «morso alla lingua» quando ci assale la tentazione di sparlare. Perché proprio «le zizzaniere» — come chiamano in Argentina le persone che mettono in giro le chiacchiere — sono una controtestimonianza cristiana, causando anche divisioni nella Chiesa. 
«Gesù prega: “Alzati gli occhi al cielo, pregò”» racconta Giovanni nel passo evangelico (17, 20-26) proposto dalla liturgia del giorno. E Francesco ha fatto subito notare che «Gesù pregò per tutti, non pregò solo per i discepoli che erano a tavola con lui, ma per tutti». Scrive infatti Giovanni, riportandone le parole: «Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me, mediante la loro parola». Questo vuole dire, ha affermato il Pontefice, che Cristo «prega per noi: ha pregato per me, per te, per te, per te, per ognuno di noi». E non ha smesso: «Gesù continua a farlo in cielo, come intercessore». È importante comprendere «cosa chiede Gesù in questo momento al Padre: “perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te”, siano anche essi in noi». Infatti egli «crede e prega per l’unità, l’unità dei credenti, delle comunità cristiane». Ma pensa a «un’unità come è quella che ha Lui con il Padre e il Padre con Lui: un’unità perfetta». E finisce così la preghiera, secondo il Vangelo di Giovanni: «Perché il mondo creda che tu mi hai mandato». Ecco perché «l’unità delle comunità cristiane» e «delle famiglie cristiane» è «la testimonianza del fatto che il Padre abbia inviato Gesù».

mercoledì 5 ottobre 2016

Quella voglia di arrampicarsi. Marco (9, 30-37)

Papa Francesco, Meditazione mattutina Martedì, 17 maggio 2016

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.112, 18/05/2016)

C’è una «tentazione» che «divide e distrugge la Chiesa»: è la «voglia mondana di avere il potere», l’invidia e il desiderio «di andare più in alto». Questa tentazione risponde al «pensiero del mondo», mentre Gesù parla «di servizio, di umiliazione».
Confrontandosi con il brano evangelico del giorno, tratto dal Vangelo di Marco (9, 30-37), l’intera meditazione del Pontefice si è sviluppata sulla contrapposizione fra questi «due modi di parlare». La Scrittura, infatti, presenta Gesù che «insegna ai suoi discepoli» e dicendo loro «la verità sulla propria vita» — sulla sua, ha spiegato Francesco, ma «anche sulla vita dei cristiani, la “vera” verità» — rivela: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni, risorgerà».

martedì 4 ottobre 2016

Dio non è un'equazione. Marco (10, 1-12)

Papa Francesco, Meditazione mattutina Venerdì, 20 maggio 2016

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.115, 21/05/2016)

La scena raccontata nel Vangelo di Marco (10, 1-12): «Gesù, partito da Cafàrnao, venne nella regione della Giudea e al di là del fiume Giordano», e «la folla accorse di nuovo a lui e di nuovo egli insegnava loro, come era solito fare».
Protagonista, ha spiegato il Papa, è «la folla che viene a lui: lui insegnava e loro ascoltavano». Tutte quelle persone seguivano Gesù proprio perché avevano piacere ad ascoltarlo. Il Vangelo dice che «lui insegnava con autorità, non come insegnavano gli scribi e i farisei». Per questo «la folla, il popolo di Dio, era con Gesù».
Però, precisa l’evangelista Marco, c’era anche, «dall’altra parte, quel piccolo gruppetto di farisei, sadducei, dottori della legge che sempre si avvicinavano a Gesù con cattive intenzioni». Il Vangelo ci dice chiaramente che la loro intenzione era di «metterlo alla prova»: erano sempre pronti a usare la classica buccia di banana «per far scivolare Gesù», togliendogli così «l’autorità».

lunedì 3 ottobre 2016

Inno alla gioia. Marco (10, 17-27)

Papa Francesco, Meditazione mattutina Lunedì, 23 maggio 2016

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.117, 23-24/05/2016)

«La carta d’identità del cristiano è la gioia»: lo «stupore» di fronte alla «grandezza di Dio», al suo «amore», alla «salvezza» che ha donato all’umanità non può che portare il credente a una gioia che neanche le croci della vita possono scalfire, perché anche nella prova c’è «la sicurezza che Gesù è con noi».
In particolare, il Pontefice ha voluto rileggere l’incipit del brano tratto dalla prima Lettera di Pietro (1, 3-9) che — ha detto — per il «tono esultante», l’«allegria», il modo dell’apostolo di intervenire «a tutta forza» ricorda l’inizio «dell’Oratorio di Natale di Bach». Scrive, infatti, Pietro: «Sia benedetto il Padre del nostro Signore Gesù Cristo, che nella sua grande misericordia ci ha rigenerati, ricreati, mediante la resurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, una eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce; essa è conservata nei cieli per voi, che dalla potenza di Dio siete custoditi mediante la fede, in vista della salvezza che sta per essere rilevata nell’ultimo tempo».

domenica 2 ottobre 2016

Spirito in gabbia. Marco (12, 1-12)

Papa Francesco, Meditazione mattutina Lunedì, 30 maggio 2016

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.122, 31/05/2016)

«Profezia, memoria e speranza»: sono le tre caratteristiche che rendono liberi la persona, il popolo, la Chiesa, impedendo di finire in un «sistema chiuso» di norme che ingabbia lo Spirito Santo. 
«È chiaro a chi Gesù parla con questa parabola: ai capi dei sacerdoti, agli scribi e agli anziani del popolo» ha fatto subito notare il Papa riferendosi al passo evangelico di Marco (12, 1-12) proposto dalla liturgia. Dunque «per loro» il Signore usa «l’immagine della vigna», che «nella Bibbia è l’immagine del popolo di Dio, l’immagine della Chiesa e anche l’immagine della nostra anima». Così, ha spiegato Francesco, «il Signore cura la vigna, la circonda, scava una buca per il torchio, costruisce una torre».

venerdì 30 settembre 2016

Il navigatore e i quattro guai. Matteo 5,1-12

Papa Francesco, Meditazione mattutina Lunedì, 6 giugno 2016

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.128, 06-07/06/2016)

Se le beatitudini sono «il navigatore per la nostra vita cristiana», ci sono anche le «anti-beatitudini» che sicuramente ci faranno «sbagliare strada»: è dall’attaccamento alle ricchezze, dalla vanità e dall’orgoglio che ha messo in guardia Francesco indicando nella mitezza, che non va confusa certo per «sciocchezza», la beatitudine su cui riflettere di più. E così nella messa celebrata lunedì mattina 6 giugno, nella cappella della Casa Santa Marta, il Pontefice ha suggerito di rileggere le pagine evangeliche sulle beatitudini scritte da Matteo e Luca.
«Possiamo immaginare» ha affermato Francesco, in quale contesto Gesù ha pronunciato il discorso delle beatitudini, così come lo riporta Matteo nel suo Vangelo (5, 1-12). Ecco allora «Gesù, le folle, il monte, i discepoli». E «Gesù si mise a parlare e insegnava la nuova legge, che non cancella l’antica, perché lui stesso ha detto che fino all’ultima jota dell’antica legge dev’essere compiuta». In realtà Gesù «perfeziona l’antica legge, la porta alla sua pienezza». E «questa è la legge nuova, questa che noi chiamiamo le beatitudini». Sì, ha spiegato il Papa, «è la nuova legge del Signore per noi».

La batteria del cristiano. Matteo (5, 13-16)

Papa Francesco, Meditazione mattutina, Martedì, 7 giugno 2016

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.129, 08/06/2016)

Se il cristiano cede alla tentazione della «spiritualità dello specchio», non alimenta la sua luce con la «batteria della preghiera» e guarda «solo a se stesso» senza donarsi agli altri, viene meno alla sua vocazione e diventa come una lampada che non illumina e come sale che non insaporisce. Papa Francesco ha preso dalla liturgia il celebre paragone evangelico sottolineando l’efficacia del linguaggio di Gesù che «sempre parla ai suoi con parole facili» affinché «tutti possano capire il messaggio». Nel brano di Matteo (5, 13-16), ha sottolineato il Pontefice, si trova infatti «una definizione dei cristiani: il cristiano deve essere sale e luce. Il sale insaporisce, conserva, e la luce illumina». Un esempio che invita all’azione, giacché «la luce non è per fatta per essere nascosta, perché nascosta neppure si conserva: si spegne» e «neppure il sale è un oggetto da museo o da armadio, da cucina, perché alla fine si rovina con l’umidità e perde la sua forza, il suo sapore».
Ma, si è chiesto il Papa, «come facciamo per evitare che la luce e il sale vengano meno?», cioè, «come si fa per evitare che il cristiano venga meno, sia debole, si indebolisca proprio nella sua vocazione?». Una risposta può venire da un’altra parabola, quella «delle dieci ancelle (Matteo, 25, 2): cinque stolte e cinque sagge». La saggezza e la stoltezza, ha spiegato Francesco, viene dal fatto «che le une avevano portato con sé l’olio, perché non mancasse» mentre le altre, «giocherellando con la luce», si sono «dimenticate» e la loro luce finì con lo spegnersi. Del resto, ha aggiunto il Papa con un esempio più attuale, «anche la lampadina, quando incomincia a indebolirsi, ci dice che dobbiamo ricaricare la batteria».

mercoledì 28 settembre 2016

La santità del negoziato. Matteo (5, 20-26)

Papa Francesco, Meditazione mattutina Giovedì, 9 giugno 2016

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.131, 10/06/2016)

Bisogna vivere «la santità piccolina del negoziato», ossia quel «sano realismo» che «la Chiesa ci insegna»: si tratta, cioè, di rifiutare la logica del «o questo o niente» e di intraprendere la strada del «possibile» per riconciliarsi con gli altri.  Con una piccola nota di tenerezza: durante l’omelia un bambino si è messo a piangere ma Francesco ha subito rassicurato i genitori: «No, rimaniamo tranquilli, perché la predica di un bambino in chiesa è più bella di quella del prete, di quella del vescovo e di quella del Papa. Lascialo fare: lascialo fare, che è la voce dell’innocenza che ci fa bene a tutti».
Per la sua riflessione, il Papa ha preso le mosse dal brano del Vangelo di Matteo (5, 20-26), proposto dalla liturgia: «Gesù è in mezzo al suo popolo e insegna ai discepoli, insegna la legge del popolo di Dio». Infatti «Gesù è quel legislatore che Mosè aveva promesso: “Verrà uno dopo di me...”». Egli dunque è «il vero legislatore, quello che ci insegna come dev’essere la legge per essere giusti». Ma «il popolo era un po’ disorientato, un po’ allo sbando, perché non sapeva cosa fare e quelli che insegnavano la legge non erano coerenti». Ed è Gesù stesso a dire loro: «Fate quello che dicono, ma non quello che fanno». Del resto, «non erano coerenti nella loro vita, non erano una testimonianza di vita». Così «Gesù, in questo passo del Vangelo, parla di superare: “La vostra giustizia deve superare quella degli scribi e dei farisei”». Dunque, «a questo popolo un po’ imprigionato in questa gabbia senza uscita, Gesù indica il cammino per uscire: è sempre uscire in su, superare, andare in su».

L'ultimo scalino. Matteo (5, 43-48)

Papa Francesco, Meditazione mattutina Martedì, 14 giugno 2016

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.135 15/06/2016)

Sulla strada del cristiano «non c’è posto per l’odio»: se, come «figli», i credenti vogliono «assomigliare al Padre», non devono limitarsi alla semplice «lettera della legge», ma vivere ogni giorno il «comandamento dell’amore». Fino ad arrivare «a pregare per i nemici»: cioè all’«ultimo scalino» che è necessario salire per guarire il «cuore ferito dal peccato». Così Papa Francesco ha sottolineato come Gesù, ribaltando l’idea di «prossimo», sia venuto per portare la legge alla «pienezza». Gesù infatti — ha detto — è «venuto non per cancellare la legge», colpa di cui era accusato dai suoi nemici, ma «per portarla alla pienezza». Tutta, «fino all’ultimo iota».
All’epoca, infatti, i dottori della legge ne davano «una spiegazione troppo teorica, casistica». Di fatto, ha spiegato il Pontefice, era una visione «in cui non c’era il cuore proprio della legge, che è l’amore» dato da Dio «a noi». Al centro non c’era più quello che nell’Antico testamento era il «comandamento più grande» — ovvero «amare Dio, con tutto il cuore, con tutte le tue forze, con tutta l’anima, e il prossimo come te stesso» — ma una casistica che cercava solo di capire: «Ma si può fare questo? Fino a che punto si può fare questo? E se non si può?».

L'atmosfera e lo spazio Matteo (6. 7-15)

Papa Francesco, Meditazione mattutina Giovedì, 16 giugno 2016

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.137 17/06/2016)

«Padre» è la parola che non può mai mancare nella preghiera, perché è «la pietra d’angolo» che «ci dà l’identità cristiana». Se si aggiunge anche la parola «nostro», ecco che ci possiamo sentire tutti parte di «una famiglia». E così riusciamo anche a «non sprecare parole» o a cercare «parole magiche», ma a vivere fino in fondo la preghiera che Gesù stesso ci ha insegnato — il Padre nostro appunto — soprattutto quando ci invita a saper perdonare gli altri. È un invito a fare «un esame di coscienza» sul Padre nostro la proposta del Papa.
Per la sua riflessione Francesco ha preso spunto dal passo evangelico di Matteo (6. 7-15) proposto dalla liturgia. «Alcune volte — ha ricordato — i discepoli avevano chiesto a Gesù: “Maestro, insegnaci a pregare”». Infatti loro «non sapevano pregare o vedevano come pregavano i discepoli di Giovanni e hanno chiesto a Gesù». Da parte sua. il Signore «è chiaro, semplice, nel suo insegnamento: “Primo — dice — pregando, nella preghiera, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole”».

martedì 27 settembre 2016

Davanti allo specchio (Matteo, 7, 1-15)

Papa Francesco, Meditazione mattutina Lunedì, 20 giugno 2016

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.140 20-21/06/2016)

Ci sono regole chiare suggerite da Gesù per non cadere nell’ipocrisia: non giudicare gli altri per non essere a nostra volta giudicati con la stessa misura; e quando ci viene la tentazione di farlo, è meglio guardarsi prima allo specchio, non per nasconderci con il trucco ma per vedere bene come siamo realmente. Ricordando che l’unico vero giudizio è quello di Dio con la sua misericordia, Papa Francesco ha raccomandato di non cedere alla tentazione di mettersi al posto del Signore, dubitando della sua parola.
«Gesù parla alla gente e insegna tante cose sulla preghiera, sulle ricchezze, sulle preoccupazioni vane, tante, su come deve comportarsi un suo discepolo» ha affermato Francesco. E così «arriva a questo passo del Vangelo sul giudizio», proposto dalla liturgia (Matteo, 7, 1-15). È un brano in cui «il Signore è molto concreto». Se infatti «alcune volte il Signore per farci capire ci racconta una parabola, qui è: “ta, ta, ta”: diretto, perché il giudizio è una cosa che può fare solo lui».

Per una cultura dell'incontro. Luca (7, 11-17)

Papa Francesco, Meditazione mattutina Martedì, 13 settembre 2016

Soffermandosi in particolare sull’episodio della vedova di Nain narrato nel vangelo di Luca (7, 11-17), il Pontefice ha sottolineato come «la parola di Dio» del giorno parlasse di «un incontro. C’è un incontro fra la gente, un incontro tra la gente che era sulla strada». E questa, ha commentato, è «una cosa non abituale». Infatti, «quando noi andiamo per la strada ognuno pensa a sé: vede, ma non guarda; sente, ma non ascolta»; insomma ciascuno va per la propria direzione. E di conseguenza «le persone si incrociano fra loro, ma non si incontrano». Perché, ha chiarito sgombrando il campo da ogni equivoco, «l’incontro è un’altra cosa», ed è proprio «quello che il Vangelo oggi ci annuncia: un incontro fra un uomo e una donna, fra un figlio unico vivo e un figlio unico morto; fra una folla felice, perché aveva incontrato Gesù e lo seguiva, e un gruppo di gente, che piangendo accompagnava quella donna», rimasta vedova che andava a seppellire il suo unico figlio.

Sotto il mantello. Giovanni (19, 25-27)

Papa Francesco, Meditazione mattutina (Beata Vergine Maria Addolorata)


In un mondo di orfani, Maria è la madre ci comprende fino in fondo e ci difende, anche perché ha vissuto sulla propria pelle le stesse umiliazioni che oggi, ad esempio, subiscono le mamme dei detenuti. 
Papa Francesco ha suggerito di rifugiarsi sempre, nei momento difficili, «sotto il mantello» della madre di Dio, riproponendo così «il consiglio spirituale dei mistici russi» che l’occidente ha rilanciato con l’antifona Sub tuum preasidium.

La logica del dopodomani. Luca (8, 1-3)

Papa Francesco, Meditazione mattutina Venerdì, 16 settembre 2016


Il cristiano deve avere il coraggio di vivere con «la logica del dopodomani», cioè nella certezza della «risurrezione della carne» che è anche «la radice più profonda delle opere di misericordia». E dalle tentazioni di farsi condizionare da una «pietà spiritualista» o di fermarsi solo alla «logica del passato e del presente». Rilanciando la verità della «logica della redenzione, fino alla fine».
«Quando sento questo passo del Vangelo mi fa sorridere un po’ — ha confidato — perché alcuni apostoli ce l’hanno contro la Maddalena: Luca, anche Marco, sempre ricordano il passato» tanto da scrivere che da lei «erano usciti sette demoni». Ma «povera donna, è stata l’apostola della resurrezione, è l’apostola, ma questi non dimenticano». 

La luce non va in frigo. Vangelo di Luca (8, 16-18)

Papa Francesco, Meditazione mattutina (Lunedì, 19 settembre 2016)


Se non si vuole essere cristiani solo «di nome», bisogna far proprio l’impegno quotidiano a «custodire e non nascondere» quella luce che ci è stata data nel battesimo. Un impegno che si realizza nella vita «di tutti giorni», facendo attenzione a non cedere ad alcune tentazioni nelle quali si è invece portati a cadere. 
Nel Vangelo di Luca (8, 16-18) si parla proprio del tema della luce, «del consiglio di Gesù di non coprire la lampada» e di «lasciare che la luce venga fuori, illumini, perché chi entra veda la luce». Un consiglio, ha fatto notare il Pontefice, ribadito anche nel canto al Vangelo che, citando l’evangelista Matteo (5, 16), invita: «Risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro».

Sull’inquietudine del re Erode Antipa descritta nel Vangelo di Luca (9, 7-9) (Giovedì, 22 settembre 2016)

Papa Francesco, Meditazione mattutina 

Il sovrano «era inquieto» perché quel Gesù di cui tutti parlavano «era per lui come una minaccia». Alcuni pensavano che fosse Giovanni, ma il re si ripeteva: «Giovanni, l’ho fatto decapitare io, chi è dunque costui, del quale sento dire queste cose?». Un’inquietudine, ha fatto notare il Pontefice, che ricorda quella del padre, Erode il grande, il quale, quando giunsero i magi per adorare Gesù, «era stato preso da spavento».
Nella nostra anima, ha spiegato il Papa, «c’è la possibilità di avere due inquietudini: quella buona, che è l’inquietudine dello Spirito Santo, che ci dà lo Spirito Santo, e fa che l’anima sia inquieta per fare cose buone, per andare avanti; e c’è anche la cattiva inquietudine, quella che nasce da una coscienza sporca». Proprio quest’ultima caratterizzava i due sovrani contemporanei di Gesù: «Avevano la coscienza sporca e per questo erano inquieti, perché avevano fatto cose brutte e non avevano pace, e ogni avvenimento sembrava per loro una minaccia». Del resto, il loro modo di risolvere i problemi era uccidere, e andavano avanti passando «sopra i cadaveri della gente».
Chi come loro, ha spiegato Francesco, «fa del male», ha «la coscienza sporca e non può vivere in pace»: l’inquietudine li tormenta e vivono «in un prurito continuo, in una orticaria che non li lascia in pace». Una realtà interiore sulla quale si è concentrata la riflessione del Papa: «Questa gente ha fatto il male, ma il male ha sempre la stessa radice, qualsiasi male: la cupidigia, la vanità e la superbia». Tutte e tre, ha aggiunto, «non ti lasciano la coscienza in pace», tutte impediscono che entri «la sana inquietudine dello Spirito Santo», e «portano a vivere così: inquieti, con paura».

sabato 26 marzo 2016

Gv 20,1-9: BUONA PASQUA !


Non è una favola, un racconto mitologico o solo simbolico: Gesù è veramente risorto! Un cadavere è storicamente risorto! E non è stato facile crederlo neanche per i suoi discepoli. Questi erano scappati, alcuni lo avevano tradito, rinnegato, gli altri si erano rinchiusi in casa per paura di fare la stessa fine del Maestro. Alcuni stavano già pensando di ritornare alle loro case, al loro lavoro, alle loro famiglie. Con tristezza e angoscia grande sentivano di aver fallito: avevano puntato tutto su chi credevano potesse cambiare la loro vita e le sorti del loro popolo e avevano perso. Che delusione! Aveva vinto ancora una volta il male, l’egoismo, il potere becero e violento di pochi uomini che hanno in pugno una moltitudine di persone.

Secondo Giovanni solo una donna, Maria Maddalena[1], spinta da un amore grande, si reca di buon mattino a portare gli aromi nel sepolcro. Mentre gli uomini pensano più concretamente a salvare la propria pelle e a riorganizzarsi per il futuro, lei non può dimenticare quanto ha ricevuto e si sente spinta a rendere omaggio ad un uomo defunto che ha cambiato la sua vita.

sabato 27 febbraio 2016

Luca 13,1-9 (III domenica di Quaresima, anno C)


III domenica di Quaresima
A-     Chi è Dio per noi? Convertirsi da una idea sbagliata di Dio

Dopo il deserto delle tentazioni e la montagna della trasfigurazione torniamo nei luoghi abituali della nostra vita dove siamo chiamati a confrontarci e scontrarci con tanti eventi negativi, con fatti di “cronaca nera”.

Ai tempi di Gesù (ma ancora oggi) si pensava che le sciagure dovessero capitare a chi se le meritava: se io sono un buon cristiano, Dio come può non proteggermi? Eppure quei due eventi raccontati a Gesù parlano di luoghi sacri (il tempio e la piscina di Siloe) dove l’uomo dovrebbe essere particolarmente protetto. Perché non è avvenuto? Perché quelle persone si erano meritate quella fine? Sono più peccatori degli altri?

E le vittime innocenti di terremoti, incidenti, malattie hanno meritato questo? Che colpa può avere un bambino piccolo di una disgrazia o malattia?

martedì 16 febbraio 2016

Il libro di Qoèlet: stato della ricerca attuale e riflessione ermeneutica

Due lezioni di Ludger Schwienhorst-Schönberger tenute presso il Pontificio Istituto Biblico

http://www.gliscritti.it/blog/entry/3581

Mettiamo a disposizione sul nostro sito il testo delle due lezioni tenute dal prof. Ludger Schwienhorst-Schönberger della Universität Wien presso il Pontificio Istituto Biblico il 26/1/2016 nel corso del Seminario di aggiornamento per studiosi e docenti di S. Scrittura presso il Pontificio Istituto Biblico (25-29 gennaio 2016) dedicato ai Libri sapienziali. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per approfondimenti, cfr. la sotto-sezione Libri poetici e sapienziali nella sezione Sacra Scrittura.
Il Centro culturale Gli scritti (15/2/2016)

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