giovedì 30 maggio 2013

Luca 9, 11b-17: CORPUS DOMINI (C)

Santissimo corpo e sangue di Cristo - Anno C

In quel tempo (...) i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta». Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». C'erano infatti circa cinquemila uomini (...).
Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

Enzo Bianchi:
http://www.monasterodibose.it/content/view/3568/47/lang,it/

Ermes Ronchi: Mandali via, è sera ormai e siamo in un luogo deserto. Gli apostoli hanno a cuore la gente, ma solo in parte, è come se dicessero: lascia che ognuno si risolva i suoi problemi da solo. Gesù non li ascolta, lui non ha mai mandato via nessuno, vuole fare di quel deserto, di ogni nostro deserto, una casa dove si condividono pane e sogni.
Per i discepoli Gesù aveva finito il suo lavoro: aveva predicato, aveva nutrito la loro anima, era sufficiente. Per Gesù no. Lui non riusciva ad amare l'anima e a non amare i corpi: «parlava alle folle del Regno di Dio e guariva quanti avevano bisogno di cure». In tutta la Bibbia l'uomo non «ha» un corpo, «è» un'anima-corpo senza separazioni.

giovedì 23 maggio 2013

Giovanni 16, 12-15: Ss. Trinità

Le icone di Bose, tempera all’uovo su tavola - particolare
Santissima Trinità, Anno C

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».
Vedi:
http://parolevita.blogspot.it/2012/06/la-trinita-secondo-don-tonino-bello.html#more
http://allalucedelvangelo.blogspot.it/2012/11/trinita.html
http://allalucedelvangelo.blogspot.it/2012/11/trinita-citazioni-e-preghiere.html
- Enzo Bianchi: http://www.monasterodibose.it/content/view/3563/47/lang,it/

Ermes Ronchi: La Trinità si delinea in filigrana, nel Vangelo di oggi, non come fosse un dogma astratto ma come un accadimento di vita, una azione che ci coinvolge. 
Lo Spirito mi glorificherà: prenderà del mio e ve lo annuncerà. La gloria per Gesù, ciò di cui si vanta, la pienezza della sua missione consiste in questo: che tutto ciò che è suo sia anche nostro. 
Dio gode nel mettere in comune. Ciò per cui Cristo è venuto: trasmettere se stesso e far nascere in noi tutti un Cristo iniziale e incompiuto, un germe divino incamminato.
Tutto quello che il Padre possiede è mio. Il segreto della Trinità è una circolazione di doni dentro cui è preso e compreso anche l'uomo; non un circuito chiuso, ma un flusso aperto che riversa amore, verità, intelligenza fuori di sé, oltre sé. Una casa aperta a tutti gli amici di Gesù. 
La gloria di Gesù diventa la nostra: noi siamo glorificati, cioè diamo gioia a Dio e ne ricaviamo per noi godimento e pienezza, quando facciamo circolare le cose belle, buone e vere, le idee, le ricchezze, i sorrisi, l'amore, la creatività, la pace... 

venerdì 17 maggio 2013

Giovanni 14,15-16.23-26: PENTECOSTE (anno C)

Tempera su tavola, Maestà - SienaDomenica di Pentecoste, Anno C

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre. Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».

Ermes Ronchi: Il Padre vi darà un altro "Paràclito": nome che significa "Colui che è chiamato accanto",
"Uno accanto a noi", a nostro favore, non "contro" di noi; perché quando anche il cuore ci accusi, ci sia qualcuno più grande del nostro cuore: nostro Difensore. Perché quando siamo sterili e tristi, sia accanto come vento che porta pollini di primavera, come fuoco che illumina la notte: Creatore e Consolatore. Perché quando siamo soli, di solitudine nemica, sia colui che riempie la casa, il Dio vicino, che avvolge, penetra, fa volare ad altezze nuove i pensieri, dà slancio a gesti e parole, sulla misura di quelli di Cristo.
Rimarrà con voi per sempre, vi insegnerà ogni cosa, vi ricorderà tutto quello che vi ho detto. Tre verbi pieni di bellissimi significati profetici: «rimanere, insegnare e ricordare». Che rimanga con voi, per sempre. Lo Spirito è già qui, ha riempito la casa. Se anche io non sono con Lui, Lui rimane con me. Se anche lo dimenticassi, Lui non mi dimenticherà. Nessuno è solo, in nessuno dei giorni.
Vi insegnerà ogni cosa: lo Spirito ama insegnare, accompagnare oltre verso paesaggi inesplorati, dentro pensieri e conoscenze nuovi; sospingere avanti e insieme: con lui la verità diventa comunitaria, non individuale.

mercoledì 15 maggio 2013

LA “DEI VERBUM” E LA CENTRALITÀ DELLA PAROLA DI DIO NELLA VITA DELLA CHIESA A CINQUANT’ANNI DAL CONCILIO



di Bruno Forte, 
Arcivescovo di Chieti-Vasto
(Ancona, 18 Aprile 2013)


"Per comprendere in tutta la sua portata la “primavera” del Concilio Vaticano II occorre far riferimento al contesto in cui si situava l’assise conciliare. Nell’epoca moderna, anche in reazione alla Riforma, che aveva accentuato con forza il ruolo della Parola di Dio nella vita della fede fino a definire la Chiesa tutta come “creatura Verbi”, creazione sempre nuova della Parola di Dio, la grande maggioranza dei  cattolici era stata raramente educata a un contatto diretto e personale con la Parola di Dio. I testi della Bibbia venivano spesso tradotti soltanto dal latino della Vulgata e  non dalle lingue originali e i fedeli dovevano chiedere addirittura l’autorizzazione ai presbiteri per poter leggere alcune parti della Bibbia. È in questo contesto che il Vaticano II ripropone la rivelazione non semplicemente come comunicazione di  verità dottrinali, ma come auto-comunicazione dell’Eterno: “Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelare se stesso e far conoscere il mistero della sua volontà (cf. Ef  1,9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito Santo hanno accesso al Padre e sono resi partecipi della divina natura (cf. Ef  2,18; 2 Pt 1,4). Con questa rivelazione infatti Dio invisibile (cf. Col 1,15; 1 Tim 1,17)  nel suo immenso amore parla agli uomini come ad amici (cf. Es 33,11; Gv 15,14-15)  e si intrattiene con essi (cf. Bar 3,38), per invitarli e ammetterli alla comunione con  sé” (cf. Costituzione sulla Divina Rivelazione Dei Verbum 2).
Alla luce di questo carattere personale e non puramente noetico della  rivelazione contenuta nelle Sacre Scritture, il Concilio metterà in evidenza la centralità della Parola per la vita cristiana e per la vita della Chiesa. Continuamente generata dalla fede suscitata dalla Parola di Dio, che è Cristo stesso che si comunica 
nei segni delle sue parole, la Chiesa vive e opera nella forza dello Spirito: “A Dio che rivela è dovuta l'obbedienza della fede (cf. Rom 16, 26; cf. Rom 1,5; 2 Cor 10,5-6),  con la quale l'uomo si abbandona tutto a Dio liberamente, prestando il pieno ossequio  dell'intelletto e della volontà a Dio che rivela e assentendo volontariamente alla rivelazione data da lui. Perché si possa prestare questa fede, è necessaria la grazia di  Dio che previene e soccorre e gli aiuti interiori dello Spirito Santo, il quale muova il  cuore e lo rivolga a Dio, apra gli occhi della mente, e dia a tutti dolcezza nel consentire e nel credere alla verità” (ib., 5). 
...La Parola di Dio è, dunque, la buona novella contro la solitudine! Lo è perfino nella forma del silenzio divino, di cui è piena la Scrittura. Lo aveva ben compreso uno dei grandi scrittori cristiani dell’epoca moderna, Søren Kierkegaard, dandone testimonianza nel suo Diario con queste parole: “Non permettere che dimentichiamo: Tu parli anche quando taci. Donaci questa fiducia: quando siamo in attesa della Tua  venuta, Tu taci per amore e per amore parli. Così è nel silenzio, così è nella parola: 
Tu sei sempre lo stesso Padre, lo stesso cuore paterno e ci guidi con la Tua voce e ci  elevi con il Tuo silenzio...”. Il Dio che parla colma le nostre solitudini, perfino quando la Sua è la parola del silenzio: perciò, l’ascolto della rivelazione, vissuto con  radicale apertura e disponibilità, è ascolto che salva. La Parola di Dio si presenta come buona novella per tutte le solitudini, perché in essa ci è offerta come dono gratuito e liberante la possibilità dell’alleanza con Dio: certo, all’“auto-donazione” divina occorre che corrisponda - in una forma inevitabilmente asimmetrica - la “donazione” del cuore all’Eterno (cf. DV 5). Accogliendo la Parola entrata nella storia la creatura umana si schiude al Mistero santo, e ne sperimenta la prossimità e 
l’inesauribile bellezza nell’amore. L’accoglienza operosa della Parola trasforma l’uomo nel profondo, lo libera dalla sua solitudine, lo fa discepolo del Signore nella  compagnia dei discepoli resi liberi dalla verità (cf. Gv 8,31s.). L’“esistenza accolta”, propria di Gesù, Verbo incarnato, si fa “esistenza accolta”, e perciò donata, del discepolo che, accogliendo la Parola nella donazione di sé a Dio e agli uomini, si  lascia “dire” dal Padre nel Figlio come vivente parola della carità rivolta all’umile concretezza delle situazioni della storia. L’accoglienza della Parola prepara e anticipa così nel tempo penultimo la città celeste, quel tempo ultimo in cui le parole scompariranno, accolte nell’unica Parola, perché Dio sia tutto in tutti e ogni  solitudine sia vinta nella gioia senza fine del Suo amore. ..." (Bruno Forte)

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lunedì 13 maggio 2013

Il segreto delle dieci frasi scolpite da Dio nella pietra

di Armando Torno, Corriere della Sera, 10.5.13

La teoria ebraica della scrittura “a goccia a goccia”

Non è il caso di meravigliarsi se le Tavole della Legge, ovvero i Dieci Comandamenti, siano stati incisi su pietra. Documenti antichissimi confermano questa usanza anche per altri testi di carattere politico. Una prova? Eccola nel trattato fra Suppiluliumas, re ittita morto intorno al 1320 prima di Cristo, e Mattiuazza di Mitanni (Naharina nei testi egizi: fu un regno situato nel nord della Mesopotamia), dove è detto che una copia della tavola si sarebbe dovuta depositare nel tempio di Samas. Del resto si parlò per buona parte del Novecento delle stele di pietra con sculture e iscrizioni trovate da Sir William M. Flinders Petrie, descritte poi nel suo libro Researches in Sinai, uscito a Londra nel 1906. Il discorso di Mosè che si legge nel Deuteronomio testimonia quel che avvenne: «Quando io salii sul monte a prendere le tavole di pietra, le tavole dell'alleanza che il Signore aveva stabilita con voi, rimasi sul monte quaranta giorni e quaranta notti, senza mangiare pane né bere acqua; il Signore mi diede le due tavole di pietra, scritte dal dito di Dio, sulle quali stavano tutte le parole che il Signore vi aveva dette sul monte, in mezzo al fuoco, il giorno dell'assemblea» (9, 9-10; oppure Esodo 24,12).

venerdì 10 maggio 2013

Luca 24,46-53: ASCENSIONE (C)

Ascensione del Signore, Anno C

«Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall'alto». Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.

L'Ascensione è il momento di passaggio tra il tempo di Gesù (raccontato nei Vangeli) e il tempo della Chiesa guidata dallo Spirito (e raccontata negli Atti). Gesù sale-ascende in CIELO: non luogo geografico (come se Gesù stesse a guardarci tra le nuvolette), piuttosto come una sorta di "MONDO PARALLELO", spirituale, fuori dai limiti spazio-temporali. Cielo è sinonimo di Dio: Gesù torna, con la sua (e nostra) umanità in Dio, torna a quella dimensione spirituale che gli permette di essere sempre e ovunque con noi.

L'Ascensione non indica allora lontananza, piuttosto maggiore vicinanza: noi crediamo che il Risorto sia QUI, "in mezzo a coloro che sono uniti nel suo nome" e che parli attraverso la Scrittura, e operi nel suo corpo che è l'Eucaristia e si identifica nei poveri...

Se l'Incarnazione ha significato umanizzare il divino, l'Ascensione comporta la divinizzazione dell'umano.

Cosa fa Gesù subito prima di salire in cielo?

mercoledì 8 maggio 2013

Atti 8, 9-25: Spirito Santo e denaro

Silvano Fausti,
Gesuita, biblista e scrittore
 
«Il tuo danaro vada con te in perdizione»
(leggi Atti 8, 9-25)

È la prima missione fuori dalla Giudea. Un villaggio di Samaritani accoglie la Parola e riceve il battesimo. Simon Mago, da poco convertito, è estasiato dai prodigi del diacono Filippo. Pieno di ammirazione, non si stacca da lui. Altro che le sue magie!  Ma il vero prodigio è il fuoco che Gesù è venuto a portare sulla terra (Lc 12,48), fuoco di un amore che sa dare la vita per chi lo uccide (Lc 23,34; At 7,60). Lo Spirito di Dio, libero e sovrano, spira come e dove vuole. Addirittura su chi ancora non è battezzato (cfr At 10,44-48). Pietro e Giovanni sono inviati a pregare perché i neoconvertiti ricevano lo Spirito. La presenza dei due apostoli vuol evidenziare che lo Spirito è unico e unificante. Effuso a Gerusalemme, si diffonde nel mondo intero, accogliendo ogni diversità e creando comunione nella Chiesa e tra le Chiese.

Quando gli apostoli comunicano lo Spirito, Simon Mago va addirittura in visibilio. È disposto a dare a Pietro il suo denaro per avere anche lui il potere di trasmetterlo. La religione si sposa spesso con la magia. Essa pretende di avere Dio a propria disposizione. Simone vuol comprarla con denaro contante; le persone pie a suon di opere buone. È una bestemmia. È come se Dio non fosse tutto e solo amore. La sua potenza è l’impotenza di chi ama e si fa piccolo per mettersi nelle mani di tutti. La magia invece - come molta religiosità - ha a che fare con il denaro e vuol mettere le mani su tutto e su tutti, Dio compreso.

lunedì 6 maggio 2013

Decalogo. “Io sono il Signore Dio tuo”, inizia così il buon cammino

di Armando Torno, Corriere della Sera, 4.5.13

Il primo imperativo del Decalogo fonda la via della salvezza
 
Tavole della Legge, Comandamenti, Decalogo: sono espressioni diverse per indicare i precetti che Mosè ricevette sul Sinai, base dell'alleanza tra Dio e Israele. Il termine più usato in dizionari e repertori, Decalogo, in greco significa dieci (déka) parole (lógos). Una consuetudine, accettata anche se non filologicamente ineccepibile, ama tradurlo con la locuzione «I Dieci Comandamenti»; tuttavia una ragione c'è, e va cercata nel fatto che in ebraico «parola», davar, è sinonimo di comandamento. Mosè rimase «con il Signore quaranta giorni e quaranta notti senza mangiar pane e senza bere acqua» (Esodo 34,28). Oggi sono considerati riferimenti giuridici ed etici, oltre che religiosi; costituiscono il codice morale di gran parte dell'umanità. O, per dirla con Hermann Cohen, fondatore della scuola di Marburgo e figura di spicco del neokantismo, si possono intendere come una sorta di equazione assoluta donata all'uomo (in Scritti ebraici, Berlino 1924). Nella Bibbia si trovano due versioni con lievi varianti delle «dieci parole». Si leggono nell'Esodo (20,1-17) e nel Deuteronomio (5,6-21).

venerdì 3 maggio 2013

Giovanni 14. 23-29: VI domenica di Pasqua

Tempera su tavola, Maestà (particolare), SienaVI domenica di Pasqua Anno C

In quel tempo, Gesù disse: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l'ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate».

Enzo Bianchi: http://www.monasterodibose.it/content/view/3541/47/lang,it/


Ermes Ronchi: Se uno mi ama, osserverà la mia parola. Affermazione così importante da essere ribadita subito al negativo: chi non mi ama non osserva le mie parole, non riesce, non ce la può fare, non da solo.
Una limpida constatazione: solo se ami il Signore, allora e solo allora la sua Parola, il tuo desiderio e la tua volontà cominciano a coincidere. Come si fa ad amare il Signore Gesù? L'amore verso di lui è un'emozione, un gesto, molti gesti di carità, molte preghiere o sacrifici? No. Amare comincia con una resa, con il lasciarsi amare. Dio non si merita, si accoglie.
Io sono un campo dove circola vento, cade pioggia di vita, scoccano dardi di sole. «Capisco che non posso fare affidamento sui pochi centesimi di amore che soli mi appartengono, non bastano per quasi nulla. Nei momenti difficili, se non ci fossi tu, Padre saldo, Figlio tenero, Spirito vitale, cosa potrei comprare con le mie monetine?» (M. Marcolini).