giovedì 31 gennaio 2013

Luca 4,21-30: IV domenica del tempo ordinario (anno C)


IV Domenica
Tempo Ordinario-Anno C

In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria (...)».
Vedi anche: http://labibbiaelavita.blogspot.it/search/label/Lc.04.21-30
 
Ermes Ronchi: Gesù ha presentato il suo programma per un mondo senza più disperati, poveri, ciechi, oppressi, la sua strada per la pienezza dell'umano, e tutti nella sinagoga di Nazaret capiscono di aver ascoltato parole nuove, che fanno bene, parole di grazia!Ma l'entusiasmo passa in fretta, i compaesani hanno già catalogato Gesù, non è costui il figlio di Giuseppe? L'hanno chiuso nelle loro categorie, e non si aprono alla sorpresa.
Ma la vita si spegne quando muoiono le attese. È ciò che accade nelle famiglie, tra gli sposi, tra genitori e figli, tra amici. L'abitudine spegne il mistero e la sorpresa, e l'altro invece di essere una finestra di cielo, una benedizione che cammina, è solo il figlio di Giuseppe, o il falegname, l'idraulico, il postino, la maestra... Dico di conoscerlo, ma cosa so del mistero di quella persona? Per che cosa batte il suo cuore, cosa lo fa soffrire, cosa lo fa felice, per quali persone spera e trema?...
E poi, ancora più importante, so lasciarmi sfiorare almeno dal pensiero enorme che quella persona che conosco così bene ha in se un pezzetto di Dio, una profezia? C'è profezia nel quotidiano, profezia di casa mia, che come gli abitanti di Nazaret non riusciamo a vedere: «Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui!». Non ci bastano belle parole. E Gesù risponde raccontando un Dio che protegge la vedova straniera di Sarepta, che guarisce il lebbroso di Siria, un generale nemico. Che non ha patria se non il mondo, che non ha casa se non il dolore dell'uomo.
Dice ai suoi compaesani: voi non cercate Dio, ma solo i suoi vantaggi.
Adorano un Dio sbagliato e la loro fede sbagliata genera il più sbagliato degli istinti: un istinto di morte. Vogliono uccidere Gesù, ma lui passa in mezzo a loro si mette in cammino. Un finale a sorpresa. Anche nelle situazioni senza uscita, sul ciglio del monte con una folla che urla, accade qualcosa di incongruo, come sempre negli interventi di Dio, un punto bianco, un improvviso vuoto, un "ma": ma egli passando in mezzo a loro si mise in cammino. Non fugge, non si nasconde, non si arrende, ma passa in mezzo a loro, a portata di quella furia, attraversa la violenza e si rimette in cammino dietro al suo ideale. Per una Nazaret che si chiude cento altri villaggi gli apriranno le porte.
Perché si può ostacolare la profezia, ma non ucciderla. La sua vitalità è incontenibile perché viene da Dio.
Anche la nostra Chiesa e il nostro Paese oggi traboccano di mistici, profeti, sognatori, coraggiosi. Quello che manca sono gli ascoltatori. Manchiamo noi che non sappiamo vedere l'infinito all'angolo della strada, il mistero rannicchiato sulla soglia della nostra casa.
(Letture: Geremia 1,4-5.17-19; Salmo 70; 1 Corinzi 12,31-13,13; Luca 4,21-30).

mercoledì 30 gennaio 2013

Perché non invochiamo Dio come “Madre nostra”?

La Bibbia usa infatti anche l'immagine della madre quando parla di Dio

di Mirko Testa, 30.1.13, http://www.aleteia.org/it/article/perché-non-invochiamo-dio-come-“madre-nostra

«È Gesù ad insegnarci la paternità di Dio»

Che cosa vuol dire per noi chiamare Dio nostro Padre? Ce lo spiega Benedetto XVI in una udienza generale prendendo spunto dalle Lettere di San Paolo.
 
1) La Chiesa da sempre si rivolge a Dio utilizzando il titolo di “Padre”, così come insegnato da Gesù. La concezione di Dio come Padre era stata già delineata nell’Antico Testamento. Ma è stato Gesù a confermare ed evidenziare questa concezione, manifestandosi come “figlio” e offrendosi come unica via per giungere al Padre. E ancora: è stato Gesù a rivolgersi in modo affettuoso a Dio con una parola aramaica, “Abbà”, che si può tradurre con “papà” oppure "babbo". Ed è sempre Gesù ad affidare ai suoi discepoli la preghiera del Padre Nostro tramandataci sia dal Vangelo di Luca (11,2-4) che da quello di Matteo (6,9-13), anche se la tradizione liturgica della Chiesa ha sempre usato il testo di quest'ultimo.
Se prendiamo in mano il Catechismo della Chiesa Cattolica, leggiamo all'articolo 239 che “chiamando Dio con il nome di 'Padre', il linguaggio della fede mette in luce soprattutto due aspetti: Dio è origine primaria di tutto e autorità trascendente, e al tempo stesso, è bontà e sollecitudine d'amore per tutti i suoi figli”.

LINK:

La “paternità” di Dio nell'Antico Testamento
2) E' vero anche, però, che la Bibbia spesso rappresenta Dio con immagini femminili, come segno del suo amore spontaneo, istintivo e assoluto.

sabato 26 gennaio 2013

DEI VERBUM: la Parola di Dio, fede nel Dio che parla


Schema:

1.      Informazioni e introduzione alla Dei Verbum

2.      Grande linee di avvicinamento cattolico alla Parola di Dio

3.      Verbum Domini (schema)

4.      Atto di fiducia in Dio che parla: il CREDO.
 

I. ALCUNE INFORMAZIONI E INTRODUZIONE ALLA DEI VERBUM: 

La Dei Verbum (in lingua italiana Parola di Dio, spesso abbreviata come DV) è una costituzione dogmatica emanata dal Concilio Vaticano II riguardante la «Divina Rivelazione» e la Sacra Scrittura. Fu promulgata da Papa Paolo VI il 18 novembre 1965, in seguito all'approvazione dei vescovi riuniti in assemblea con 2.344 voti favorevoli e 6 contrari.

Il titolo è un rimando sia alle Sacre Scritture (letteralmente, la «Parola di Dio»), sia allo stesso Gesù Cristo (il Verbo di Dio) ed è tratto dall'incipit del documento, com'è consuetudine nei più importanti documenti ufficiali della Chiesa cattolica. 

Le tre tematiche essenziali:

1.      Relazione tra Scrittura e Tradizione

2.      Ispirazione e Interpretazione della Sacra Scrittura

3.      Antico e Nuovo Testamento, in particolare sui Vangeli 

Struttura della Dei Verbum

giovedì 24 gennaio 2013

Lc 1,1-4; 4,14-21:III domenica del tempo ordinario/C

III Domenica
Tempo ordinario - Anno C

(...) In quel tempo, Gesù ritornò in Galilea...Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,a proclamare ai prigionieri la liberazionee ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressie proclamare l'anno di grazia del Signore». Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all'inserviente e sedette (...) Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».


OGGI SI E' COMPIUTA QUESTA PAROLA

- In Gesù la Scrittura trova concretezza, compimento: anche oggi, anche per noi Gesù è parola fatta carne, compimento della Parola. Lo è nel sacrificio eucaristico che segue alla liturgia della Parola, lo è nella vita di tutti i giorni, nella sua presenza, nel camminare dientro a Lui.

- Gesù ci dice: la Parola che ascoltiamo non è fatta solo di "belle parole", ma è realtà che si compie e deve compiersi in noi, perchè è Parola di Dio: non è dunque parola del passato (e di un passato remoto, risalente per Gesù, a circa 2000 anni fa e per Isaia addirittura a 2.500 anni fa).

- Il tema centrale di questa liturgia è dunque la Scrittura, la Parola di Dio celebrata, vissuta e testimoniata. Gesù ci offre l'esempio più importante, proprio all'inizio del suo ministero pubblico così come viene descritto da Luca: dove aver riscosso un grande successo a Cafarnao per le parole e i miracoli compiuti, torna nella sua cittadina dove, come al suo solito, partecipa alla liturgia nella Sinagoga.

martedì 22 gennaio 2013

Atti 6,1-7: La prima contestazione nella Chiesa

di Silvano Fausti (S.J.)

La comunità non è mai perfetta. Dopo la menzogna di Anania e Saffira (ndr vedi nostro post precedente "La prima menzogna") c’è un’ingiustizia: gli apostoli favoriscono le vedove della loro terra, trascurando le altre. La discriminazione etno-culturale suscita contestazione.
Se le persecuzioni esterne fanno crescere la Chiesa, questa crisi interna potrebbe disgregarla. Difficoltà e mancanze ci sono sempre. La norma è ignorarle e lavorare per soffocare le voci critiche: «Troncare, sopire!». Ma il rimedio è peggiore del male: uccide la fraternità e la parola profetica che vorrebbe ricostruirla. Negare il male produce cancri mortali!
Gli apostoli ci danno buon esempio: riconoscono la loro inadempienza. Solo in questo modo capiscono la propria identità. Non tutto spetta a loro. La comunità scelga chi serve alle mense, mentre loro si daranno alla preghiera e al servizio della Parola. Questo è il compito degli apostoli, e dei loro successori! Così costruiscono la Chiesa. Senza questa base, essa crolla e va in rovina.
È l’anno della fede. Il pericolo di tutti i giubilei è celebrare belle liturgie pur di non affrontare i dovuti cambiamenti (cfr Is 1,10-17!). In questo racconto degli Atti si dice cos’è la fede che gli apostoli dovranno trasmettere a ogni uomo. La fede non sta nel credere a proprie idee o sapere a memoria il catechismo: «Anche i demoni credono, ma tremano!» (Gc 1,19). La fede è perseverare nella preghiera e nel servizio della Parola.

Leggi tutto: La prima contestazione nella Chiesa di Silvano Fausti

domenica 20 gennaio 2013

S.Paolo: la forza nella debolezza (2 CORINZI 12,9)

Da:
I.De La Potterie - S. Lyonnet La vita secondo lo Spirito, condizione del Cristiano
AVE 1967 cap. X pp. 313-336

LA LEGGE FONDAMENTALE DELL'APOSTOLATO FORMULATA E VISSUTA DA S. PAOLO: FORZA NELLA DEBOLEZZA
(2 CORINZI 12,9) 1
Le circostanze nelle quali Paolo ha dettato i capitoli brucianti della 2Corinzi2, lo hanno spinto a spiegarsi lungamente su quel ch'era l'apostolato autentico. Le espressioni paoline sono valide anzitutto riguardo a coloro che Il Signore invia personalmente alla sua messe, tuttavia esse si applicano senza alcun dubbio anche ad ogni cristiano che, per Il fatto stesso che al battesimo ed alla confermazione ha ricevuto Il dono dello Spirito ed è stato quindi abIlitato ad essere «testimone del Cristo» (Atti 1,8), riceve da parte sua Il compito di lavorare alla propagazione del Regno di Dio. E tra i numerosi passi dove entra in questione l'apostolato, sembra che in uno, forse Il più confidenziale di tutti, l'Apostolo ci abbia rivelato Il segreto della propria spiritualità, e che insieme abbia formulato in termini particolarmente incisivi quel che potrebbe chiamarsi la magna charta dell'apostolato. Si tratta d'un passo di questo cap. 12, che la Chiesa romana ha scelto per la lettura dell'epistola di una delle sue più antiche liturgie in onore di s. Paolo, quella della Domenica di Sessagesima, in cui la sacra Stazione quaresimale ha luogo sulla tomba dell'Apostolo, nella basIlica di San Paolo fuori le mura.
Noi commenteremo in breve Il versetto in questione , e vedremo come le affermazioni dell'Apostolo si Illuminano alla luce di quel che sappiamo della sua vita, e come esse si inseriscano in una linea precisa di spiritualità biblica.
I- significato generale del passo

giovedì 17 gennaio 2013

Gv 2.1-11: II domenica del tempo ordinario/C



II domenica
Tempo ordinario - Anno C

(...) Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d'acqua le anfore»; e le riempirono fino all'orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono (...).


Ermes Ronchi:
Il mondo è un immenso pianto e Gesù dà avvio alla salvezza partendo da una festa di nozze. Anziché asciugare lacrime, colma le coppe di vino. Sembra quasi sprecare la sua potenza a servizio di una causa effimera, un po' di vino in più, eppure il Vangelo chiama questo il «principe dei segni», il capostipite di tutti.
Perché a Cana Gesù vuole trasmettere il principio decisivo della relazione che unisce Dio e l'umanità. Tra uomo e Dio corre un rapporto nuziale, con tutta la sua tavolozza di emozioni forti e buone: amore, festa, gioco, dono, eccesso, gioia. Un legame sponsale, non un rapporto giudiziario o penitenziale, lega Dio e noi. Gesù partecipa con tutti i suoi alla celebrazione, e proclama così il suo atto di fede nell'amore tra uomo e donna, lui crede nell'amore, lo ratifica con il suo primo prodigio. Perché l'amore umano è una forza dove è custodita la passione per la vita, dove l'altro ha tutta la tua attenzione, dove la persona viene prima della legge, dove la speranza batte la rassegnazione. Dove nascono sogni.
La Chiesa, come Gesù, dovrebbe attingere vino dall'amore degli uomini, custodirlo, inebriarsi e offrirlo alla sete del mondo. Gesù prende l'amore umano e lo fa messaggio, parola di Dio. Con le nozze l'uomo scende al nodo germinale della vita, e Gesù dice: l'incontro con Dio è la tua primavera, fa germogliare vita, porta fioriture di coraggio, .
«E viene a mancare il vino». Il vino, in tutta la Bibbia, è il simbolo dell'amore felice tra uomo e donna, tra uomo e Dio. Felice e sempre minacciato. Simbolo della fede e dell'entusiasmo, della creatività, della passione che vengono a mancare.
Non hanno più vino, esperienza che tutti abbiamo fatto, quando stanchezza e ripetizione prendono il sopravvento. Quando ci assalgono mille dubbi, quando gli amori sono senza gioia e le case senza festa. Ma ecco il punto di svolta del racconto. Maria, la madre attenta, sapiente della sapienza del Magnificat (sa che Dio ha sazia gli affamati di vita), indica la strada: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».
Il femminile capace di unire il dire e il fare! Fate il suo Vangelo, rendetelo gesto e corpo, sangue e carne. E si riempiranno le anfore vuote del cuore, si trasformerà la vita, da vuota a piena, da spenta a felice.
Più Vangelo è uguale a più vita. Più Dio equivale a più io.
A lungo abbiamo pensato che al divertimento Dio preferisse il sacrificio, al gioco la gravità, e abbiamo ricoperto il Vangelo con un velo di tristezza. Invece a Cana ci sorprende un Dio che gode della gioia degli uomini e se ne prende cura. «Dobbiamo trovare Dio precisamente nella nostra vita e nel bene che ci dà. Trovarlo dentro la nostra felicità terrena». (Bonhoeffer).
Vedi anche: http://labibbiaelavita.blogspot.it/search/label/Gv.%2002.1-11
Enzo Bianchi: http://www.monasterodibose.it/content/view/3378/47/lang,it/

giovedì 10 gennaio 2013

Luca 3,15-16.21-22: Giovanni Battista e il BATTESIMO DI GESU’

() Battesimo del Signore Anno C

In quel tempo, poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco». Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento».

Vedi: http://labibbiaelavita.blogspot.it/search/label/Lc.03.15-16.21-22
http://liberstef.myblog.it/archive/2008/01/10/13-gennaio-battesimo-del-signore.html
http://www.monasterodibose.it/content/view/4816/1911/lang,it/
Ermes Ronchi: Viene dopo di me colui che è più forte di me e vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco, vi immergerà nel vento e nel fuoco di Dio. Bella definizione del cristiano: Tu sei "uno immerso" nel vento e nel fuoco, ricco di vento e di fuoco, di libertà e calore, di energia e luce, ricco di Dio.
Il fuoco è il simbolo che riassume tutti gli altri simboli di Dio. Nel vangelo di Tommaso Gesù afferma: stare vicino a me è stare vicino al fuoco. Il fuoco è energia che trasforma le cose, è la risurrezione del legno secco del nostro cuore e la sua trasfigurazione in luce e calore.
Il vento: alito di Dio soffiato sull'argilla di Adamo, vento leggero in cui passa Dio sull'Oreb, vento possente di Pentecoste che scuote la casa. La Bibbia è un libro pieno di un vento che viene da Dio, che ama gli spazi aperti, riempie le forme e passa oltre, che non sai da dove viene e dove va, fonte di libere vite.

giovedì 3 gennaio 2013

CINQUE DONNE ALLA CULLA DI GESÙ. RUT e BETSABEA


RUT e BETSABEA :
pietà e fedeltà – bellezza e intrighi – pentimento e coraggio



Rut: pietà e fedeltà – moabita – razza disprezzata dagli ebrei diventa la nonna di Davide.
Rut è l’immagine dell’umanità straniera incorporata nel popolo di Dio.

Betsabea: bellezza e intrighi, pentimento e coraggio – hittita – razza nemica – amante e poi sposa di Davide – madre di Salomone il re più sapiente e saggio di Israele.

Struttura del libro di Rut: un itinerario spirituale

Il breve libro di Rut racconta la storia di una donna moabita, che abbandona il suo popolo per seguire la suocera ebrea a Betlemme. Da Rut nascerà Obed, che sarà padre di Iesse, il padre del re Davide.
 

mercoledì 2 gennaio 2013

CINQUE DONNE ALLA CULLA DI GESÙ. TAMAR e RAHAB

TAMAR e RAHAB :
il coraggio della fede



Tamar si veste da prostituta per salvare ciò in cui crede;
Rahab da prostituta si fa ospite per salvare ciò in cui crede.

1. La genealogia di Gesù secondo Matteo: Mt 1, 1-17

Fin dalla prima pagina l’evangelista Matteo ci fa vedere che Dio, inviando suo Figlio, è fedele al suo piano d’amore verso Israele ma anche verso tutta l’umanità. Cristo sarà figlio del “popolo scelto”, ma come dono a tutta l’umanità. Ogni volta che il “popolo scelto” si irrigidisce nei suoi schemi, Dio glieli spezza perché possa riaprirsi al suo piano e diventare più umano.
In una schematica e rigida “genealogia” patriarcale, Dio inserisce presenza di cinque donne, quattro delle quali “straniere” a Israele. Dal loro grembo genera una umanità più ampia di quella concepita dal piccolo Israele.
Oggi la Chiesa deve mantenersi sempre attenta al piano di salvezza che Dio mantiene in atto illuminandolo con le Tamar, le Rahab, le Ruth e anche le Betsabee che la aiutano a giungere alla pienezza di grazia e di umanità che sarà sempre Maria.