sabato 28 dicembre 2013

Matteo 2, 13-15.19-23: Santa famiglia - Anno A

visualizzaI Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo». Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Dall'Egitto ho chiamato mio figlio». (...)

Leggevo proprio ieri l’intervista ad un noto attore italiano. Alla domanda “quanto conta per lei la famiglia” risponde: “Famiglia è una parola abusata, meglio dire rapporti di affetto”.
Meglio e più semplice: parlare di rapporti di affetto anziché di famiglia, permette di giustificare meglio la provvisorietà dei rapporti, l’incapacità di prendersi delle responsabilità a lunga scadenza, a sacrificare qualcosa di sé per garantire il bene degli altri…
Eppure ciascuno di noi ha, all’origine, un padre e una madre. La famiglia è il nucleo fondamentale della società, la famiglia è la realtà che Dio stesso ha voluto per suo figlio, la realtà che, secondo le parole di San Paolo, meglio esprime l’unità che, in Gesù Cristo, Dio vive nei confronti della Chiesa: un’unità che nasce dal dono della vita, da una dedizione d’amore che passa attraverso il servizio, il perdono, il prendersi cura…
All’interno della Santa Famiglia più volte durante l’anno si evidenzia il ruolo fondamentale di Maria e dunque della madre, ma il Vangelo ci presenta piuttosto il ruolo di Giuseppe, il ruolo paterno che guida e protegge, educa e si prende cura della propria famiglia.

giovedì 19 dicembre 2013

Matteo 1,18-24: IV Domenica di Avvento – Anno A

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Vedi anche: http://labibbiaelavita.blogspot.it/2011/08/matteo-118-24-giuseppe-assume-la.html

Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. [...] Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa “Dio con noi”.

Ermes Ronchi:

Prima che andassero a vivere insieme (passava un anno tra il matrimonio e la convivenza) Maria si trovò incinta. Sorpresa assoluta della creatura che arriva a concepire l'inconcepibile, il proprio Creatore. 
Qualcosa che però strazia il cuore di Giuseppe, che si sente tradito, con i progetti di vita andati in frantumi. E l'uomo giusto, entra in crisi: non volendo accusarla pubblicamente (denunciare Maria come adultera e farla lapidare) pensò di ripudiarla in segreto. Giuseppe non si dà pace, è innamorato, continua a pensare a lei, a sognarla di notte. Un conflitto emotivo e spirituale: da un lato l'osservanza della legge (l'obbligo di denunciare Maria) e dall'altro il suo amore. Ma basta che la corazza della legge venga appena scalfita dall'amore, che lo Spirito irrompe e agisce. Mentre stava considerando queste cose ecco che in sogno un angelo, che poi è Dio stesso, gli parla... Giuseppe, mani indurite dal lavoro e cuore intenerito e ferito, ci ricorda che l'uomo giusto ha gli stessi sogni di Dio.

sabato 14 dicembre 2013

MARIA nel Nuovo Testamento

Sguardo sintetico alla presenza di Maria nel Nuovo Testamento, da uno studio di Don Claudio Doglio, missionario del PIME di Genova - Nervi
 http://www.latheotokos.it/modules.php?name=News&file=article&sid=380

1. Maria nelle Lettere di Paolo

In tutto il suo epistolario solo una volta san Paolo fa riferimento alla madre di Gesù e quest'unica volta è un accenno indiretto. Nella Lettera ai Galati, mentre sta trattando il tema della giustizia di Dio donata agli uomini per grazia, affronta il serio rapporto fra la legge e la fede e cerca di chiarire la funzione di tali componenti. Per chiarire il suo argomentare teologico, Paolo fa un esempio concreto: paragona la legge ad un pedagogo, un maestro incaricato di seguire ed educare una persona finché non raggiunga la maggiore età. Così, egli dice, il periodo dell'antica alleanza corrisponde a questa fase della minore età e c'era bisogno della legge come di un pedagogo. Ma ora, aggiunge, è successo qualcosa di nuovo, di profondamente innovatore: è giunta la pienezza del tempo e Dio è entrato direttamente nel nostro mondo e nella nostra vita.
"Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio,
(a) nato da donna,
(b) nato sotto la legge,
(b') per riscattare coloro che erano sotto la legge
(a') perché ricevessimo l'adozione a figli" (Gal 4,4-5).
La novità di Gesù Cristo consiste proprio nella partecipazione alla nostra condizione umana, rendendo noi uomini capaci di partecipare alla condizione divina. Dio si è fatto come noi, per farci come lui. Dio si è fatto figlio dell'uomo, perché l'uomo diventi figlio di Dio; Dio si è sottomesso alla legge di Mosè, perché l'umanità intera sia liberata dalla legge del peccato e della morte. In questo sintetico quadro di teologia della redenzione, l'Apostolo fa riferimento alla nascita di Gesù da una "donna": evidentemente si tratta di Maria, ma egli non la nomina; la ricorda per sottolineare la partecipazione completa alla nostra situazione di uomini che nascono da donna. Paolo vuol dire: è diventato uno di noi, proprio come noi.
Inoltre, con buona probabilità, l'espressione paolina fa riferimento ad una formula presente nel libro di Giobbe, che serve per evidenziare la debole fragilità ed inconsistenza della creatura umana. Diceva infatti l'antico poeta: "L'uomo, nato di donna, breve di giorni e sazio di inquietudine, come un fiore spunta ed avvizzisce, fugge come l'ombra e mai si ferma" (Gb 14,1-2). Dio ha condiviso in Gesù questa fragilità umana; il ruolo di Maria è stato quello di offrirgli la debolezza della carne, perché egli potesse renderla forte con il dono dello Spirito.

venerdì 13 dicembre 2013

Matteo 11,2-11: III Domenica di Avvento-Anno A

Vedi anche: http://labibbiaelavita.blogspot.it/2011/08/matteo-112-11-domanda-di-giovanni.html

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In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!» (...) 

“Il male è potente…ma il bene è onnipotente”

La III domenica di Avvento ci invita alla gioia, alla speranza, alla perseveranza. Ma ci presenta Giovanni Battista che, incarcerato e minacciato di morte, dubita: “sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”.
Il male è talmente potente da azzittire ogni voce che, come quella di Giovanni, lascia che Dio parli e, con la sua parola, metta in crisi, denunci, critichi. Giovanni dubita: si è sbagliato? Si era solo illuso? Perché nel mondo non cambia niente se il Messia annunciato e atteso è finalmente arrivato?
Quanti dubbi anche nella nostra vita di fede: se Gesù è il figlio di Dio e si è incarnato in mezzo a noi, perché non ha sconfitto il male? Perché tanti innocenti continuano a soffrire? Perché il male anche oggi sembra prevalere e rinchiudere e azzittire il bene?
Se il male è potente (e potente il suo “marketing” pubblicitario che amplifica con efficacia i suoi successi), il bene è onnipotente, ma nell’amore: ama e per amore lascia liberi gli altri, ama senza cercare pubblicità, senza voler apparire. Per questo sembra agire con debolezza, con piccoli segni che vanno compresi e decifrati.
Gesù ai discepoli inviati da Giovanni risponde mostrando come la profezia di Isaia trovi in lui compimento: con l’avvento del Messia i “ciechi vedono, i muti parlano, gli zoppi saltano di gioia…”.

giovedì 12 dicembre 2013

Col 1,24: l'umano soffrire (Manicardi)

Da “Luciano Manicardi,  L’umano soffrire, ed. Qiqajon
Sintesi a cura di don Luciano Pascucci

E’ difficile portare uno sguardo spirituale sulla sofferenza che sia equilibrato dal punto di vista umano ed evangelico. La storia della spiritualità cristiana ci mostra affermazioni e giudizi che rappresentano esempi di deviazioni in senso coloristico che non hanno nulla a che fare con lo spirito del vangelo, della vita e della predicazione di Gesù, e che non sono nemmeno conformi a una visione autenticamente umana della malattia e della sofferenza. E che anche dal punto di vista teologico sono discutibili o addirittura aberranti.
E’ il caso della Lettera ai Colossesi 1,24, normalmente tradotto: “Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la chiesa”.
Questa traduzione sembra implicare l’idea che la passione di Cristo sia incompleta e insufficiente, che essa abbia bisogno delle sofferenze di Paolo (e dunque dei credenti) per essere condotta a pienezza, e dunque che le sofferenze dei credenti abbiano un valore redentivo.
In realtà se ci si attiene scrupolosamente al testo greco, rispettando l’ordine sintattico della frase, la traduzione del versetto deve suonare così: “Io trovo la mia gioia nelle (mie) sofferenze per voi e completo ciò che manca alle tribolazioni di Cristo nella mia carne, per il suo corpo, che è la chiesa”.
Non la passione di Cristo è insufficiente per la salvezza; non è a essa che manca qualcosa; non è neppure che questo qualcosa possa esservi portato da Paolo o dai credenti, ma è alla partecipazione dell’Apostolo e dei credenti alle sofferenze di Cristo che manca ancora qualcosa. Non la passione di Cristo è deficitaria, ma è “nella mia carne”, cioè alla “mia povera persona umana”, che manca qualcosa alla pienezza di partecipazione alle tribolazioni di Cristo.

 Offrire a Dio la sofferenza?

mercoledì 11 dicembre 2013

LA SACRALITÀ DELL’ACCOGLIENZA NELLA BIBBIA (Maggioni)

Vedi anche: http://www.credereoggi.it/upload/2006/articolo154_19.asp
«Il Signore protegge lo straniero» (SAL 146,9). Riflessioni di teologia biblica

Rev. Mons. Bruno MAGGIONI
Docente della Facoltà Teologica
 dell’Italia Settentrionale


Nel deserto l’ospitalità è una necessità per sopravvivere, e tutti ne hanno diritto da parte di tutti. Se colui che ospita e colui che è ospitato sono nemici, l’accettazione dell’ospitalità implica una riconciliazione. L’ospite è sacro e deve essere protetto da ogni pericolo. Il viaggiatore, che giungeva in un paese non conosciuto, sedeva sulla piazza del mercato finché uno dei cittadini non lo invitava a casa sua. Sin qui, si può dire, forse un po’ generalizzando, era il costume del tempo. Ma nella concezione biblica c’è molto di più. 
Racconti di ospitalità
La Bibbia parla raccontando. E a proposito dell’ospitalità ci sono racconti particolarmente illuminanti. Ne scegliamo tre.
1 – Abramo e i tre visitatori (Gn 18,1-10).

venerdì 6 dicembre 2013

Luca 1, 26-38: Immacolata Concezione

visualizzaIn quel tempo, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te» (...)

La SOLENNITA’ dell’IMMACOLATA prevale sulla II domenica di Avvento, ma Maria, festeggiata come colei che è nata immacolata, non prevale, ne vorrebbe prevalere rispetto al figlio che viene e che è nato in mezzo a noi. E’ piuttosto la prima TESTIMONE capace di indicarci come prepararci alla venuta del Signore.
A lei si affiancheranno, nelle prossime domeniche, il Battista e San Giuseppe, altri grandi testimoni che hanno avuto un ruolo di primo piano nell’avvento del Signore.
Torniamo a MARIA e a quanto, l’8 dicembre 1854, è stato definito in maniera solenne con il DOGMA dell’Immacolata Concezione: Maria è nata con un privilegio particolare concessogli dal Signore che ha così voluto prepararsi una degna dimora in cui far nascere il Figlio. Dio l’ha riempita della sua GRAZIA, ovvero della sua presenza, dei suoi doni. Per questo l’ha esentata dal peccato originale immergendola da subito nella realtà divina, così come noi siamo stati immersi in Lui nel Battesimo.