martedì 22 gennaio 2013

Atti 6,1-7: La prima contestazione nella Chiesa

di Silvano Fausti (S.J.)

La comunità non è mai perfetta. Dopo la menzogna di Anania e Saffira (ndr vedi nostro post precedente "La prima menzogna") c’è un’ingiustizia: gli apostoli favoriscono le vedove della loro terra, trascurando le altre. La discriminazione etno-culturale suscita contestazione.
Se le persecuzioni esterne fanno crescere la Chiesa, questa crisi interna potrebbe disgregarla. Difficoltà e mancanze ci sono sempre. La norma è ignorarle e lavorare per soffocare le voci critiche: «Troncare, sopire!». Ma il rimedio è peggiore del male: uccide la fraternità e la parola profetica che vorrebbe ricostruirla. Negare il male produce cancri mortali!
Gli apostoli ci danno buon esempio: riconoscono la loro inadempienza. Solo in questo modo capiscono la propria identità. Non tutto spetta a loro. La comunità scelga chi serve alle mense, mentre loro si daranno alla preghiera e al servizio della Parola. Questo è il compito degli apostoli, e dei loro successori! Così costruiscono la Chiesa. Senza questa base, essa crolla e va in rovina.
È l’anno della fede. Il pericolo di tutti i giubilei è celebrare belle liturgie pur di non affrontare i dovuti cambiamenti (cfr Is 1,10-17!). In questo racconto degli Atti si dice cos’è la fede che gli apostoli dovranno trasmettere a ogni uomo. La fede non sta nel credere a proprie idee o sapere a memoria il catechismo: «Anche i demoni credono, ma tremano!» (Gc 1,19). La fede è perseverare nella preghiera e nel servizio della Parola.

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