giovedì 27 ottobre 2011

Matteo 23, 1-12: contro chi dice, ma non fa

XXXII domenica tempo ordinario - Anno A

In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno (...) Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d'onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente. Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste (...) Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».

Gesù mette in evidenza tre tentazioni-vizi:
1- ipocrisia ("dicono e non fanno")
2- vanità ("le loro opere le fanno per essere ammirati")
3- potere (amano i posti d'onore e i primi seggi")

Ermes Ronchi: Il più grande è chi ama di più
Il Vangelo evidenzia due questioni di fondo, che chiunque desideri una vita autentica deve affrontare. La prima: essere o apparire. La seconda: l'amore per il potere. Praticate ciò che vi dicono, ma non fate secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. La severità di Gesù non va contro la debolezza di chi vorrebbe ma non ce la fa, bensì contro l'ipocrisia di chi fa finta. Verso la nostra debolezza Gesù si è sempre mostrato premuroso, come il vasaio che, se il vaso non è riuscito bene, non butta via l'argilla, ma la rimette sul tornio e la plasma di nuovo, fino a che realizza il suo progetto. Gesù non sopporta gli ipocriti. Ipocrita (termine greco che significa "attore di teatro") è il moralista che invoca leggi sempre più dure, ma per gli altri (legano pesi enormi sulle spalle delle persone, ma loro non li toccano con un dito); ipocrita è l'uomo di Chiesa che più si mostra severo e duro con gli altri, più si sente giusto, vicino a Dio (mentre è vicino solo alla propria aggressività o invidia verso i fratelli). Paolo oggi dice: «Avrei voluto darvi la mia vita». L'ipocrita dice: «Vi ho dato la legge, sono a posto». L'ipocrita non si accontenta di essere peccatore, vuole apparire buono. E con la sua falsa virtù fa sì che gli uomini non si fidino più neanche della virtù autentica. Gesù poi stigmatizza un secondo errore che rovina la vita: l'amore del potere. Non fatevi chiamare maestro, dottore, padre, come se foste superiori agli altri. Voi siete tutti fratelli. E già questo è un primo grande capovolgimento: tutti fratelli, nessuno superiore agli altri, relazione paritaria e affettuosa. Ma a Gesù questo non basta, e opera un ulteriore capovolgimento: il più grande tra voi è colui che serve. Il più grande è chi ama di più. Il mondo ha bisogno d'amore e non di ricchezza per fiorire. E allora il più grande del nostro mondo sarà forse una mamma sconosciuta, che lavora e ama nel segreto della sua casa, o nelle foreste d'Africa, o uno di voi che legge, o colui o colei che vi è vicino. Gesù rovescia la nostra idea di grandezza, ne prende la radice e la capovolge al sole e all'aria e dice: tu sei grande quanto è grande il tuo cuore. Siete grandi quando sapete amare, quando sapete farlo con lo stile di Gesù, traducendo l'amore nella divina follia del servizio: sono venuto per servire non per essere servito. È l'assoluta novità di Gesù: Dio non tiene il mondo ai suoi piedi, è Lui ai piedi di tutti. Dio è il grande servitore, non il padrone. Lui io servirò, perché Lui si è fatto mio servitore. Servizio: nome nuovo, nome segreto della civiltà.

giovedì 20 ottobre 2011

Mt 22,34-40: IL PIU' GRANDE COMANDAMENTO

XXX domenica del tempo ordinario/A

Allora i farisei, udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, qual è il più grande comandamento della legge?». Gli rispose: « Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

Ermes Ronchi: Qual è il grande comandamento? Gesù risponde indicando qualcosa che sta al centro dell'uomo: tu amerai. Lui sa che la creatura ha bisogno di molto amore per vivere bene. E offre il suo Vangelo come via per la pienezza e la felicità di questa vita. Amerai Dio con tutto, con tutto, con tutto. Per tre volte Gesù ripete che l'unica misura dell'amore è amare senza misura. Ama Dio con tutto il cuore: totalità non significa esclusività. Ama Dio senza mezze misure, e vedrai che resta del cuore, anzi cresce, per amare i tuoi familiari, gli amici, te stesso. Dio non è geloso, non ruba il cuore: lo moltiplica. Ama con tutta la mente. L'amore rende intelligenti, fa capire prima, andare più a fondo e più lontano. Ama con tutte le forze. L'amore rende forti, capaci di affrontare qualsiasi ostacolo e fatica. Da dove cominciare? Dal lasciarsi amare da Lui, che entra, dilata, allarga le pareti di questo piccolo vaso che sono io. Noi siamo degli amati che diventano amanti. Domandano a Gesù qual è il comandamento grande e Lui invece di un comandamento ne elenca due: amerai Dio, amerai il prossimo. Gesù non aggiunge nulla di nuovo: il primo e il secondo comandamento sono già scritti nella Bibbia. Eppure dirà che il suo è un comando nuovo. Dove sta la novità? Sta nel fatto che le due parole fanno insieme una sola parola, l'unico comandamento. E dice: il secondo è simile al primo. Amerai l'uomo è simile ad amerai Dio. Il prossimo è simile a Dio. Questa è la rivoluzione di Gesù: il prossimo ha volto e voce e cuore simili a Dio. Il volto dell'altro è da leggere come un libro sacro, la sua parola da ascoltare come parola santa, il suo grido da fare tuo come fosse parola di Dio. «Sul tuo corpo volteggiano angeli / come intorno a una chiesa /... e di Lui sono i tuoi occhi» (Turoldo). Amerai il tuo prossimo come ami te stesso. È quasi un terzo comandamento sempre dimenticato: «ama te stesso», perché sei come un prodigio, porti l'impronta della mano di Dio. Se non ami te stesso, non sarai capace di amare nessuno, saprai solo prendere e possedere, fuggire o violare, senza gioia né gratitudine. Se per te desideri pace e perdono, questo tu offrirai all'altro. Se per te desideri giustizia e rispetto, tu per primo li darai. Ma perché amare, amare con tutto me stesso? Perché portare il cuore a queste vertigini? Perché dare e ricevere amore è ciò su cui posa la beatitudine della vita. Perché Dio-amore è l'energia fondamentale del cosmo, e amando partecipi di questa energia: quando ami, è il Totalmente Altro che viene perché la storia sia totalmente altra da quello che è.

VEDI ANCHE: http://liberstef.myblog.it/archive/2008/10/24/materiale-liturgico-per-omelia-e-catechesi-xxx-dom-t-o-a-26.html

giovedì 13 ottobre 2011

Mt 22,15,21: DATE A CESARE...E A DIO

XXIX TEMPO ORDINARIO/A

In quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi.
Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?».
Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».



Io: NOI, TRA DIO E CESARE

Due, credo, sono i principali temi che possiamo cogliere nelle letture di questa domenica: il rapporto con il potere (e tra potere politico e Dio) e il bisogno di collaborare col progetto di Dio. Due dimensione che, come spesso accade, sono strettamente intrecciate tra loro.
La prima dimensione si coglie chiaramente dal Vangelo dove i “potenti” del popolo ebraico non ne possono più delle provocazioni e dello scompiglio causato da Gesù e si incontrano per cercare di metterlo in seria difficoltà: si alleano con i fedeli di Erode (non molto ben visti dai farisei, puri, ma anche neutri nel rapporto con i dominatori romani) e escogitano un tranello molto insidioso: è giusto pagare le tasse a Roma? A un popolo dominatore che attenta alla libertà (anche religiosa) degli ebrei? E’ un bivio stretto: da una parte il si che renderebbe meno popolare Gesù, facilmente accusabile di connivenza con i romani, dall’altra il no che lo porrebbe come un chiaro rivoluzionario, amico degli zeloti, accusabile di fronte alla legge di Roma.

Gesù sa cogliere bene il tranello nascosto dietro le parole di falsa adulazione e risponde: “ipocriti” e stolti: tra le due dimensioni c’è un chiaro primato di Dio (“date a Dio ciò che è di Dio”), ma che non esclude il dovere di contribuire con le tasse a chi è chiamato a gestire il bene pubblico.

Da questo discorso possiamo trarre importanti conseguenze ancora ben attuali:

- la vita è di Dio: nessun potere politico può arrogarsi il diritto di decidere di toglierla o impedire di esprimere le personali convinzioni religiose. Tra le due dimensioni c’è un chiaro primato di Dio e lo Stato non può pretendere ciò che appartiene a Dio. Se lo facesse si dovrebbe resistergli.

- Ma non ci sono scuse valide per evadere le tasse, per non contribuire alla ricerca del bene comune, per quanto ci possano essere dubbi sul modo di ricercare tale bene da parte dei politici di turno.

- Gesù implicitamente riconosce che debba esistere una società civile autonoma, un’autorità che debba provvedere alle esigenze del bene comune. Anzi, il cristiano, per quanto non si debba sentire DI questo mondo, è consapevole di vivere IN questo mondo e che debba collaborare per trasformare fin d’ora questo mondo nel Regno di Dio annunziato e inaugurato da Gesù Cristo. Il cristiano è dunque invitato ad assumersi la propria responsabilità come cittadino per la costruzione di una società migliore. Per quanto amareggiato non può rifiutare la politica in toto, ma anzi dovrebbe impegnarsi per trasformarla a partire dal quartiere, dalla scuola, dal sindacato, dal volontariato, dall’amministrazione locale, fino al vero e proprio impegno politico in senso stretto.

- “Gesù non presenta un “programma politico”, piuttosto invita gli uomini (dunque ciascuno di noi) alla conversione, al pentimento, alla giustizia, all’umiltà del cuore, alla carità, al servizio degli altri, specialmente dei poveri” (G.De Rosa)

« Rendete a Dio quello che è di Dio » . Ma che cosa gli appartie­ne? « La terra, l’universo e tutti i viventi » (salmo 24,1); «io appar­tengo al Signore» ( Isaia 44,5). A Cesare vadano le cose, a Dio le persone. Cesare non ha diritto di vita e di morte sulle persone, non ha il diritto di violare la lo­ro coscienza, non può impa­dronirsi della loro libertà. A Ce­sare non spetta il cuore, la men­te, l’anima. Spettano a Dio solo. Ad ogni potere umano è detto: Non appropriarti dell’uomo. L’uomo è cosa di un Altro. Cosa di Dio. A me dice: Non iscrivere appartenenze nel cuore che non siano a Dio. Libero e ribelle a o­gni tentazione di possesso, ri­peti a Cesare: Io non ti appar­tengo.

La prima lettura aggiunge altri elementi: il progetto di Dio non si realizza nella storia in maniera magica (o per mezzo di un dio burattinaio che muove le persone come fossero burattini): è grazie a persone che se ne fanno carico o che, in quanto uomini di “buona volontà” (cioè capaci di seguire una retta coscienza) gli permettono inconsapevolmente di agire: Dio tutto può, ma nulla fa contro la volontà umana. Così il profeta Isaia può far parlare Dio di Ciro (re persiano e dunque pagano, il quale dopo il lungo e duro periodo di esilio imposto dai babilonesi permetterà al popolo ebraico di tornare alle loro terre) come di un suo strumento di cui si serve per portare a compimento i suoi progetti di bene nei confronti del popolo. Ci ricorda così come il Regno si realizza sia per mezzo di attivi e consapevoli collaboratori, sia in maniera più misteriosa, insinuandosi tra le pieghe della storia e mostrando come quando l’autorità politica (indipendentemente dalle convinzioni religiose delle persone che la rappresentano) si mette al servizio dei popoli e agisce aiutando i più deboli, diventa strumento di Dio.

Paolo infine, nella seconda lettura, ci permette di ricordare che oggi siamo invitati in modo particolare a pregare e sensibilizzarci nei confronti della dimensione missionaria della Chiesa, lui che, da grande missionario, ha agito (non da solo, ma con stretti collaboratori) costruendo rapporti di solidarietà con le nuove Chiese che veniva a formare.

- Ci ricorda dunque il dovere di non isolarci nei confronti del mondo e in particolare nei confronti delle Chiese presenti nel terzo mondo, da considerare come sorelle giovani.

- Ci ricorda il dovere di sostenere, nella preghiera e concretamente, coloro che, in prima linea (missionari religiosi o laici), sono presenti in questi paesi per edificare comunità mature nella fede e nella carità.

- Ci ricorda inoltre, insieme a quanto detto per le altre letture, il dovere di impegnarci per costruire ad ogni livello un mondo più equo, più giusto, più solidale.

- Ed infine ci ricorda che, come per Paolo, è un dovere per ciascuno di noi annunciare il Vangelo: un annuncio fatto di parole, ma soprattutto di testimonianza concreta attraverso scelte di vita coerenti, dettate dall’amore.

Il cristiano «sta nel mondo senza essere del mondo» (Gv 17,11-16), abita con piena lealtà la città degli uomini, ma la sua vera cittadinanza è nei cieli. È quanto si legge in uno splendido scritto delle origini cristiane: «I cristiani non si distinguono dagli altri uomini né per territorio, né per lingua, né per abiti. Abitando città greche o barbare, danno esempio di uno stile di vita meraviglioso e paradossale. Essi abitano una loro patria, ma come forestieri; a tutto partecipano come cittadini e a tutto sottostanno come stranieri; ogni terra straniera è patria per loro e ogni patria è terra straniera».

Alberto Maggi: http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/esegesi/AMaggi_1318447159.htm

giovedì 6 ottobre 2011

Matteo 22, 1-14: LA FESTA DI NOZZE E GLI INVITATI

XXVIII Domenica Tempo ordinario - Anno A

In quel tempo, Gesù, riprese a parlare con parabole [...] e disse: «Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. Mandò di nuovo altri servi con quest'ordine: dite agli invitati: “Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l'abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l'abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».

Io

Ermes Ronchi:
È bello questo nostro Dio che quando è rifiutato, anziché abbassare le attese le alza: chiamate tutti! Che apre, allarga, gioca al rilancio, va più lontano; e dai molti invitati passa a tutti invitati: tutti quelli che troverete, cattivi o buoni, fateli entrare. Notate: prima i cattivi e poi i buoni... Noi non siamo chiamati perché siamo buoni e ce lo meritiamo, ma perché diventiamo buoni, lasciandoci incontrare e incantare da una proposta di vita bella, buona e felice da parte di Dio.
L'abito nuziale che un commensale non indossa ed è gettato fuori. A capire che cosa rappresenti quell'abito ci aiuta una parola sussurrataci il giorno del Battesimo quando, ponendo sopra di noi una piccola veste bianca, il sacerdote ha detto: «Bambino mio adesso rivestiti di Cristo!». Il nostro abito è Cristo! Passare la vita a rivestirci di Cristo, a fare nostri i suoi gesti, le sue parole, il suo sguardo, le sue mani, i suoi sentimenti; a preferire coloro che egli preferiva. L'abito nuziale è quello della Donna dell'Apocalisse: vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul capo una corona di stelle, che indossa il guardaroba di Dio, l'abito da festa del creato, che è la luce, il primo di tutti i simboli di Dio. In quella Donna è ciascuno di noi, cercatore di luce che venga a vincere le paure e le ombre che invecchiano il cuore. La parabola ci aiuta a non sbagliarci su Dio. Noi lo pensiamo come un Re che ci chiama a servirlo e invece è Lui che ci serve. Lo temiamo come il Dio dei sacrifici ed è il Dio cui sta a cuore la gioia; uno che ci impone di fare delle cose per lui e invece ci chiede di lasciargli fare cose grandi per noi. Lo pensiamo lontano, separato, e invece è dentro la sala della vita, la sala del mondo, come una promessa di felicità, una scala di luce posata sul cuore e che sale verso Dio.