martedì 30 agosto 2011

Giovanni 2,1-11: FATE QUELLO CHE LUI VI DIRA'

«Il terzo giorno», scrive Giovanni: cioè l’ultimo giorno della prima settimana pubblica di Gesù, dopo il battesimo nel Giordano e dopo la chiamata dei primi discepoli; «il terzo giorno vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea, e c'era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: "Non hanno vino". E Gesù le rispose: "Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora". Sua madre disse ai servitori: "Fate quello che Lui vi dirà". Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: "Riempite d'acqua le anfore"; e le riempirono fino all'orlo. Disse loro di nuovo: "Ora prendetene, e portatene a colui che dirige il banchetto". Ed essi gliene portarono. Come ebbe assaggiato l'acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l'acqua – chiamò lo sposo e gli disse: "Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora". Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui».

Enrico Dal Covolo:
a. Osserviamo anzitutto il contesto del brano. Siamo nella prima settimana della vita pubblica di Gesù: una settimana che anticipa robustamente la rivelazione del suo mistero profondo. Gesù manifesta la sua gloria, quella che gli viene dal Padre: egli infatti non è un uomo come tutti gli altri, ma è il Figlio di Dio. Proprio questo è il suo mistero, che interpella la nostra fede. Certamente la prima settimana di Gesù richiama le altre due, a cui Giovanni allude esplicitamente nel gran finale del suo Vangelo: la settimana della passione, e poi la settimana della gloria, dopo la risurrezione. Al centro di esse si erge la croce di Gesù. La croce, per Giovanni, è la suprema manifestazione della gloria del Figlio di Dio: «Io», dichiara solennemente Gesù, ormai alla vigilia della sua passione, «quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (12,32). Ma la croce è anche l'ora nella quale si condensano le tenebre di questo mondo. Vediamo così il movimento caratteristico del Vangelo di Giovanni. A mano a mano che Gesù si manifesta qual è, cioè il Figlio di Dio, il mondo si chiude a lui. E' il dramma della luce e della tenebre. E’ la provocazione della fede. Questo contesto, così ricco di spunti per la meditazione, ci fa capire che il brano delle nozze di Cana va letto come un'anticipazione della «grande ora» di Gesù, quella della sua morte e risurrezione.

b. Cerchiamo adesso di ricostruire il fatto, così come dovette capitare. Gesù si trova ancora in Galilea, nel nord della Palestina, dove ha raccolto il manipolo dei suoi apostoli. In un villaggio della regione, a Cana, si svolge una festa di nozze, a cui egli è invitato con i suoi discepoli. Una festa di nozze poteva durare diversi giorni, anche una settimana. E' probabile che gli sposi novelli avessero fatto male i loro calcoli: forse si erano lasciati prendere la mano, e avevano invitato troppi ospiti, rispetto alle loro possibilità. Fatto sta che sul più bello della festa essi rimangono del tutto senza vino. La situazione è tragica, anche perché il vino era come il simbolo dell'alleanza nuziale. Senza vino, il matrimonio nasce sotto una cattiva stella. Maria, una delle persone invitate alle nozze, da brava donna di casa si accorge dell'imbarazzo generale, e chiede a Gesù di intervenire. Così Gesù – quasi «costretto» da sua madre – compie il primo dei miracoli. Notate: non un miracolo qualsiasi. E' piuttosto il prototipo, il modello di tutti gli altri «segni» miracolosi. Quali sono questi segni? Sono i segni della rivelazione di Gesù come Figlio di Dio; sono i segni del suo mistero, della sua gloria, e dovrebbero condurre alla fede. Qui, infatti, i discepoli credono in Lui (cioè credono che egli è il Figlio di Dio). Altrove (per esempio di fronte al «segno» di Lazzaro) Giovanni allude anche alla reazione del mondo ostile, dei sommi sacerdoti e dei farisei, che proprio a seguito di questi segni decidono di uccidere Gesù. Ieri come oggi, il dramma della luce e delle tenebre avanza nella storia.

c. Finalmente sottolineiamo alcune parole, alcune espressioni più significative. Anzitutto, il tema dell'ora. «Non è ancora giunta la mia ora», risponde Gesù a sua madre. Quasi a dire: Non è ancora giunto il momento della mia rivelazione. Ma qual è l'ora di Gesù? L'abbiamo già accennato. E' il suo innalzamento, la sua morte-risurrezione. Iniziando il racconto dell'ultima cena, l'evangelista scrive: «Prima della festa di pasqua Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine» (13,1). Ecco l'ora di Gesù: è l'ora dell'innalzamento sulla croce. Solo in quest’ora si manifestano pienamente il suo mistero e la sua gloria. Così appare chiarissimo che il «segno di Cana» rappresenta un anticipo dell'ora suprema. Gesù ne è ben consapevole, e questo spiega la sua resistenza iniziale di fronte alla richiesta di Maria. Di fatto, molti elementi del racconto creano tutta una serie di corrispondenze con l'ora della croce (19,25-37). In particolare, incontriamo Maria: è presente a Cana, ed è presente nell'ora di Gesù, ai piedi della sua croce. Là, come qui, è chiamata «donna». Per Giovanni, Maria è la figura del discepolo fedele e il modello del credente. E attraverso i secoli risuona il suo invito, che diventa la «parola d'ordine» consegnata al discepolo di ogni tempo: «Fate quello che Lui vi dirà».

Per la preghiera e per la vita - E che cosa ci dice oggi Gesù, a duemila anni di distanza? Ce lo chiediamo con una certa impazienza, mentre saliamo gli ultimi due gradini della lectio tradizionale, che riguardano la preghiera e la conversione della vita. Anzitutto Gesù ci invita a conoscerlo di più, ad amarlo, a imitarlo. Ci invita a essere saldi nella fede, radicati in Lui, suoi testimoni nel mondo. Ci dice di mettere Lui e il suo progetto di vita a fondamento della nostra esistenza; di buttare la vita, di donarla per gli altri fino allo scandalo della croce, perché questa è la gloria, questa è l’unica via di risurrezione. Le altre strade non portano proprio alla risurrezione. Ed è inutile poi lamentarsi. I falsi valori ci ingannano sempre. Così la parola appassionata di Maria (Fate quello che Lui vi dirà) ci fa puntare decisamente a Gesù come risposta ultima alle nostre attese e ai nostri problemi, ieri, oggi, sempre. E questo non da un punto di vista teorico, astratto, bensì dal punto di vista di un preciso impegno pratico, esistenziale. Il traguardo a cui puntare è l’esperienza di una vita intesa come amore senza limiti, che si dona fino a perdere tutto, e che – nell’ora precisa del dono supremo – rivela il suo senso più pieno. La vita donata lascia vuota la tomba, vince la morte e vive per sempre. Chi spreca la sua vita per gli altri, la ritrova in pieno… Non c’è nessun masochismo in tutto questo. Neppure c’è amore della croce, o del dolore, o del sacrificio per se stesso. C’è soltanto l’adesione di fede alla vita di Gesù – l’Uomo che indica all’uomo il vero volto dell’uomo, proprio perché non è soltanto un uomo –. Talvolta la croce ci fa paura, perché sembra essere la negazione della vita. In realtà è proprio vero il contrario! La croce è il supremo sì di Dio all’uomo; è l’espressione massima del suo amore per noi; è la cattedra dell’amore; è la sorgente della vita che vince la morte. E subito mi torna alla memoria Sabatino, un ragazzo di vent’anni, che ho incontrato molti anni fa, da giovane prete. Sabatino era un ragazzo come tanti altri. Faccio un po’ di fatica a ricordarne il volto. Eppure, era un ragazzo santo. Aveva lasciato la sua casa, per andare a vivere con i barboni, i poveracci, gli emarginati che si danno ritrovo vicino alla Stazione Centrale di Milano. Qui un frate camilliano, fratel Ettore, aveva requisito per loro uno stanzone, una specie di tunnel dentro alla stazione. Sabatino aveva deciso di vivere con loro, per servirli. Gli fu fatale un acquazzone d’agosto, quando, sotto la pioggia, andava a cercare i suoi barboni. Poco prima che la polmonite lo uccidesse, alla Clinica del Lavoro di Milano, un biglietto: «Se esco di qui, vi racconto tutto… Come si muore, e poi ci si trova risorti. Saluto tutti. Sabatino». E ancora ricordo… Sabatino mi raccontò quella prima volta, in cui s’era messo a lavare i piedi purulenti di un barbone, ed era proprio un venerdì santo. Mi disse che aveva provato la mistica certezza di stringere tra le proprie mani i piedi feriti di Gesù. «E’ stata un’esperienza unica», confessava, «e rimarrà per sempre indimenticabile». Al funerale, dove nessun barbone volle mancare, l’Arcivescovo Martini spiegò finalmente il segreto di Sabatino. «Sabatino viveva dell’Eucaristia», disse; «aveva fatto suo il progetto di vita di Gesù, cioè il pane spezzato e il vino versato. Sabatino portava impresso nel suo cuore Cristo crocifisso».

Ma che cosa significa per me portare «impresso nel cuore» il segno della croce? Che cosa significa questo nel concreto della mia vita? Che cosa significa per me rimanere saldo nella fede? Vuol dire precisamente questo: Fate quello che Lui vi dirà… Alla fine di tutto, la celebrazione di queste parole nella nostra preghiera e nella nostra vita impone il discernimento e la conversione, e ci invita – come faremo in questi giorni – a passare attraverso i segni sacramentali della Chiesa: la Confessione, l’Eucaristia…

giovedì 25 agosto 2011

Mt 16,21-27: chi vuol venire DIETRO a me

XXII del T.O./A

In quel tempo, Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno.

Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai». Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!».

Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà.

Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita? Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni».

Alberto Maggi:
Ai discepoli che seguono Gesù pensando che lui sia il messia trionfatore, vincitore, quello annunziato dalla tradizione, che a Gerusalemme avrebbe conquistato e preso il potere, Gesù per la prima volta parla apertamente di quello che l’attende a Gerusalemme.

Fintanto che Pietro sta davanti e vuole lui indicare la traccia, la via, lui è il Satana, l’avversario. Allora Gesù dice “«Vattene dietro di me, Satana! Tu mi sei di scandalo»”. Quello che Gesù aveva definito una pietra adatta per la costruzione della sua ecclesia, cioè la comunità dei credenti convocati dal Signore, quello che era stato chiamato ad essere un mattone per la costruzione, adesso diventa una pietra di inciampo, una pietra di scandalo.

Perché? “«Perché non pensi secondo Dio»”, cioè le categorie dell’amore e del servizio, “«ma secondo gli uomini»”, cioè le categorie del potere e del dominio. Gesù comprende che non è solo Pietro ad avere questa mentalità, ma anche tutti i discepoli. Ecco allora che si rivolge a tutto il resto dei suoi. “Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me»”, Gesù ha invitato Pietro ad andare dietro di lui e ora fa comprendere quali sono le condizioni per poterlo seguire.

“«Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso»”, rinnegare se stesso non significa mortificare la propria esistenza, ma rinunciare a questi pensieri di ambizione, di successo, di supremazia, e poi prosegue, letteralmente “«e sollevi la sua croce»”.

“«Sollevi la sua croce»”, la croce era la pena di morte riservata ai rifiuti della società. Quindi Gesù non sta parlando di sofferenze e di dolore, ma sta parlando dello scandalo che seguire Gesù comporta, uno scandalo che arriva a far considerare Gesù e quelli che lo seguono rifiuti della società, persone addirittura rifiutate da Dio, perché la croce era il supplizio per i maledetti da Dio, “«e mi segua»”.

Gesù quindi non sta parlando della morte in croce, ma della via verso il supplizio, una via in solitudine, una via del disonore. Se i discepoli non sono pronti a perdere la propria reputazione – perché di questo si tratta – che non pensino a seguirlo, perché seguire Gesù significa andare incontro al massimo disonore. E poi Gesù aggiunge: “«Perché chi vuole salvare la propria vita la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà»”.

Chi vive per gli altri realizza pienamente la propria esistenza, chi vive centrato esclusivamente sui propri bisogni, sulle proprie necessità, la distrugge. Quindi questa è l’alternativa che Gesù offre. Vivere per gli altri, dare, non è perdere, ma guadagnare. Significa realizzare pienamente se stessi. Chi ama non guarda più, in primo luogo, a se stesso, ma all'amato, alle sue necessità, al suo bene.

E Gesù commenta: “«Quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita?»” A che serve guadagnare tanto, conquistare tanto e poi smarrire se stesso? E’ una critica che Gesù fa alle persone di potere, qualunque potere. Le persone che hanno conquistato il potere, divorati dalla loro ambizione, sono persone che hanno tanto, ma non hanno nulla perché hanno completamente smarrito se stesse.

Sono persone alla deriva dalla vita, alla deriva dalla felicità. “«Perché il Figlio dell’Uomo»”, Figlio dell’uomo indica Gesù nella pienezza della condizione divina, “«Sta per venire nella gloria del Padre suo»”. Gesù contrappone al massimo disonore, la pena di morte alla quale è stato condannato dal sinedrio, quindi il massimo disonore dell’istituzione religiosa, il massimo onore da parte di Dio.

L’uomo è valutato per la vita che ha praticato, per le opere che ha fatto, e non per le idee o le dottrine religiose che ha professato. E’ quello che si fa per gli altri che determina la propria esistenza.

giovedì 11 agosto 2011

Matteo 15, 21-28: la donna delle briciole

XX domenica Tempo ordinario - Anno A


(...) Ed ecco una donna Cananea (...) si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». (..) Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d'Israele». Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami!». Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». «È vero, Signore - disse la donna -, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell'istante sua figlia fu guarita.


Ermes Ronchi:
Gesù, uomo di incontri. Incontri che trasformano. E la svolta avviene attorno all'immagine dei cagnolini e delle briciole. Gesù dapprima si sottrae: Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini. Nella mentalità comune dei giudei i pagani erano considerati cani. E poi la risposta geniale della madre Cananea: è vero, Signore, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni. La donna sembra dire «fai delle briciole di miracolo, briciole di guarigione anche per noi, gli ultimi». Qualcosa commuove Gesù e ne cambia l'atteggiamento: è la convinzione assoluta di quella donna che tutti, anche i pagani sono amati, che per Dio non esistono figli e no; è l'umiltà di chi va in cerca solo di briciole, di pane perduto. Donna, grande è la tua fede! Non frequenta la sinagoga, invoca altri dèi, Baal e Astarte, ma per Gesù è donna di grande fede. Non tanto o non solo per il suo indomito amore di madre, che non si arrende ai silenzi di Gesù, al suo atteggiamento prima gelido («non le rivolse nemmeno una parola») e poi ruvido. Lo farebbe qualsiasi madre! La grande fede della donna non sta in formule o dichiarazioni, ma in una convinzione profonda, che la incalza: Dio è più attento alla vita e al dolore dei suoi figli che non alla fede che professano. Non ha la fede dei teologi, ma quella delle madri che soffrono per la carne della loro carne: esse conoscono Dio dal di dentro, lo sentono pulsare nel profondo delle loro piaghe, all'unisono con il loro cuore di madre. Credono che il diritto supremo davanti a Dio è dato dalla sofferenza e dal bisogno, non dalla razza o dalla religione. E che questo diritto appartiene a tutti i figli di Dio, che sono tutti uguali, giudei e fenici, credenti e pagani, sotto il cielo di Tiro o sotto quello di Nazaret. E Gesù cambia, si modificano l'ampiezza della sua missione e il volto del Padre. Una donna pagana «converte» Gesù; lo porta ad accogliere come figli i cagnolini di Tiro e di Sidone, lo apre ad una dimensione universale: No, tu non sei venuto solo per quelli di Israele, tu sei pastore del dolore del mondo. Gesù cammina e cresce nella fede, imparando qualcosa su Dio e sull'uomo dall'amore e dall'intelligenza di una madre straniera. Da questo incontro di frontiera, da un dialogo fra stranieri prima brusco e poi rasserenante, emerge un sogno: la terra vista come un'unica grande casa, una tavola ricca di pane, una corona di figli. Una casa dove nessuno, neppure i cuccioli, ha più fame. Dove non ci sono noi e gli altri, uomini e no, ma solo figli e fame da saziare. Dove ognuno, come Gesù, impara da ognuno. Sogno che abita Dio e ogni cuore buono.

Luca 12,13-21: NON ACCUMULARE TESORI

() XVIII Domenica del Tempo Ordinario - Anno C

In quel tempo Gesù [...] disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: -Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così - disse -: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!-. Ma Dio gli disse: -Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?-. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».

Ermes Ronchi:
· Un uomo ricco ha avuto un raccolto abbondante. Un particolare mi colpisce: non c'è nessuno attorno a quest'uomo. Nessun nome, nessun volto, nessuno nella casa, nessuno nel cuore. Ricco e al centro di un deserto! La ricchezza crea un deserto di relazioni autentiche, le cose soffocano gli affetti veri. Un uomo solo e non felice, perché la felicità dipende da due cose: non può mai essere solitaria e ha a che fare con il dono. Solitario, il cuore si ammala; isolato, muore. Un uomo che ripete continuamente un unico aggettivo «mio»: i miei raccolti, i miei magazzini, i miei beni, la mia vita, anima mia. Questa ossessione del mio. Le cose dominano il suo futuro, la sua vita ruota attorno ad esse.
· Vivere così è un lento morire. Infatti: «Stolto, questa notte morirai», anzi stai già morendo, hai allevato, hai nutrito la morte dentro di te. L'uomo non vive di solo pane, anzi di solo pane, di sole cose l'uomo muore... Stolto, dice Gesù, non perché cattivo, ma perché poco intelligente. Ha investito sul prodotto sbagliato, sul denaro e non sull'amore. La tua vita non dipende dai tuoi beni.
· Gesù non disprezza i beni della terra, quasi volesse disamorarci della vita, offre invece una risposta alla domanda di felicità. Il Vangelo dà per scontato che la vita umana sia, e non possa non essere, un'incessante ricerca di felicità. Vuoi vita piena, felicità vera? Non andare al mercato delle cose. Le cose promettono ciò che non possono mantenere. Sposta il tuo desiderio su altro, desidera dell'altro, un mondo dove l'evidenza non sia: più denaro è bene, meno denaro è male; un mondo come Dio lo sogna, che «amore e luce ha per confine».
· Non dai beni, da che cosa dipende allora la vita? Da tre cose: dalla tua vita interiore, dalle persone accanto a te, da una sorgente che non è in te ma in Dio. E queste tre cose devono essere in comunione, innestate tra loro. Allora sei vivo.
· Un giorno un visitatore arriva nella cella di un monaco del deserto. E conversando gli domanda: come mai hai così poche cose nella tua cella? Un letto, un tavolo, una sedia, una lampada. Il monaco replica: e tu come mai hai solo una sacca con te? Ma perché io sono in viaggio, risponde il visitatore. E il monaco: anch'io sono in viaggio. Fragile e precaria è la vita ma non perché finisce, solo perché sempre incamminata verso un altrove. In questa migrazione verso la vita, povertà e libertà fanno riscoprire la bellezza del mondo e la bontà delle cose, e come gustarle senza bisogno di possedere.

Luca 11,1-13: LA PREGHIERA al Padre

(Mt 6,9-13; 7,7-11) XVII Domenica Tempo Ordinario - Anno C

Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite: -Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione». (...) Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto» (....)

Ermes Ronchi:
· «Signore insegnaci a pregare!» Tutte le preghiere di Gesù riportate dai Vangeli (oltre cento) iniziano con la stessa tipica parola: «Padre», il modo migliore per rivolgersi a Dio. Ma specifico di Gesù, esclusivamente suo, è il termine originario «Abbà» che i Vangeli riportano nella lingua di Gesù, l'aramaico, e il cui senso è «papà, babbo». È la parola del bambino, il dialetto del cuore, il balbettio del figlio piccolo. È parola di casa, non di sinagoga; sapore di pane, non di tempio. «Nella moltitudine delle preghiere giudaiche non si trova un solo esempio di questa parola "Abbà" riferita a Dio» (Jeremias). Solo in Gesù: Abbà-papà.
· Nel linguaggio corrente la parola «pregare» indica l'insistere, il convincere qualcuno, il portarlo a cambiare atteggiamento. Pregare per noi equivale a chiedere. Per Gesù no: pregare equivale a evocare dei volti: quello del Padre e quello di un amico. Nella preghiera di Gesù l'uomo si interessa della causa di Dio (il nome, il regno, la volontà) e Dio si interessa della causa dell'uomo (il pane, il perdono, il male), ognuno è per l'altro. E imparo a pregare senza mai dire io, senza mai dire mio, ma sempre Tu e nostro: il tuo Nome, il nostro pane, Tu dona, Tu perdona. Il Padre nostro mi vieta di chiedere solo per me: il pane per me è un fatto materiale, il pane per mio fratello è un fatto spirituale (Berdiaev).
· Pregare cambia la storia. «Amico prestami tre pani perché è arrivato un amico». Una storia di amicizia svela il segreto della preghiera. La parabola mette in scena tre amici: l'amico povero, l'amico del pane e il viaggiatore inatteso, carico di fame e di stanchezze, che rimane sullo sfondo ma è in realtà una figura di primo piano: rappresenta tutti coloro che bussano alla mia porta, che senza essere attesi sono venuti, che mi hanno chiesto pane e conforto. A Gesù sta a cuore la causa dell'uomo oltre a quella di Dio: non vuole che la preghiera diventi un dialogo chiuso, ma che faccia circolare l'amore (i tre pani) nel corpo del mondo. Da duemila anni ripetiamo il Padre Nostro, ma non siamo diventati fratelli e il pane continua a mancare.
· Una domanda enorme corrode le nostre preghiere: Dio esaudisce? «Dio esaudisce sempre, ma non le nostre richieste bensì le sue promesse» (Bonhoeffer): Io sarò con te, fino alla fine del tempo. Dio si coinvolge, intreccia il suo respiro con il mio, mescola le sue lacrime con le mie. Se pregando non ottengo la cosa che chiedo, ottengo però sempre un volto di Padre e il sogno di un abbraccio.

Luca 10,38-42: MARTA E MARIA

()XVI Domenica del Tempo Ordinario - Anno C

In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t'importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c'è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».

Ermes Ronchi:
· Un rabbi che entra nella casa di due donne, sovranamente libero di andare dove lo porta il cuore. Libero di parlare alle donne, le escluse, come agli apostoli, seguendo la strada tracciata per la prima volta dall'angelo dell'annunciazione: mettere a parte le donne dei più riposti segreti del Signore.
· Gesù ha una meta, Gerusalemme, ma non tira mai dritto, non «passa oltre» quando incontra qualcuno. Per lui, come per il buon samaritano, ogni incontro diventa una meta.
· Maria seduta ai piedi del Signore ascolta la sua parola. Il primo servizio da rendere a Dio - e a tutti - è l'ascolto. Dare un po' di tempo e un po' di cuore; è dall'ascolto che comincia la relazione. Allora una sorta di contagio ti prende quando sei vicino a uno come Lui, un contagio di luce quando sei vicino alla luce. Mi piace immaginare questi due totalmente presi l'uno dall'altra, lui a darsi, lei a riceverlo. E li sento tutti e due felici, lui di aver trovato un nido e un cuore in ascolto, lei di avere un rabbi tutto per sé, per lei che è donna, a cui nessuno insegna. Lui totalmente suo, lei totalmente sua.
· Marta Marta tu ti affanni e ti agiti per troppe cose. Gesù, affettuosamente raddoppia il nome, non contraddice il servizio ma l'affanno, non contesta il cuore generoso di Marta ma l'agitazione. A tutti, ripete: attento a un troppo che è in agguato, a un troppo che può sorgere e ingoiarti, troppo lavoro, troppi desideri, troppo correre, «prima la persona poi le cose». Ti siedi ai piedi di Cristo e impari la cosa più importante: a distinguere tra superfluo e necessario, tra illusorio e permanente, tra effimero ed eterno. Dice Gesù: non ti affannare per nulla che non sia la tua essenza eterna. Gesù non sopporta che Marta, sia impoverita in un ruolo di servizio, che si perda nelle troppe faccende di casa: Tu, le dice Gesù, sei molto di più. Tu non sei le cose che fai; tu puoi stare con me in una relazione diversa, condividere non solo servizi, ma pensieri, sogni, emozioni, sapienza, conoscenza. Perché Gesù non cerca servitori, ma amici, non persone che facciano delle cose per lui, ma gente che gli lasci fare delle cose dentro di sé, come santa Maria: ha fatto grandi cose in me l'Onnipotente. Il centro della fede non è ciò che io faccio per Dio, ma ciò che Dio fa per me. In me le due sorelle si tengono per mano. Con loro passerò da un Dio sentito come affanno, è Marta, a un Dio sentito come stupore, è Maria. Imparerò a passare da un Dio sentito come dovere, a un Dio sentito come desiderio.

Luca 10,25-37: PARABOLA DEL BUON SAMARITANO

() XV Domenica del Tempo Ordinario - Anno C

In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, [...] chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all'albergatore, dicendo: -Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno-. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va' e anche tu fa' così».

Ermes Ronchi:
· Maestro, che cosa devo fare per essere vivo, per essere uomo vero? Gesù risponde con un racconto in cui è racchiusa la possibile soluzione della storia, la sorte del mondo e il destino di ognuno.
· Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico. Un uomo, dice Gesù. Guai se ci fosse un aggettivo, buono o cattivo, ricco o povero, dei nostri o straniero. Può essere perfino un disonesto, un brigante anche lui. È l'uomo, ogni uomo aggredito e che ha bisogno. Ogni strada del mondo va da Gerusalemme a Gerico. Il mondo geme, con le vene aperte; c'è un immenso peso di lacrime in tutto ciò che vive, un oceano di uomini derubati, umiliati, violati, naufragati per ogni continente. È questo il nome eterno dell'uomo.
· Per caso un sacerdote scendeva per quella stessa strada. Il primo che passa, un prete, un uomo spirituale, passa oltre. Ma cosa c'è oltre? Oltre il dolore, oltre la carne dell'uomo non c'è lo spirito, bensì il nulla. Quel prete non troverà mai Dio. «Percorri l'uomo, dice sant'Agostino, e raggiungerai Dio». Uomo, via maestra verso l'assoluto!
· Invece un samaritano che era in viaggio lo vide, ne ebbe compassione, gli si fece vicino. Un samaritano: uno straniero, un extracomunitario d'oggi, ha compassione e si avvicina, scende da cavallo, forse ha paura, non è spontaneo fermarsi.
· Misericordia - avere cuore per il dolore - non è un istinto, ma una conquista. Bisogna avvicinarsi, vedere gli occhi, ascoltare il respiro, allora ti accorgi che quell'uomo è tuo fratello, un pezzo di te. E nulla di ciò che è umano ti può essere estraneo.
· Il racconto di Luca mette in fila dieci verbi per descrivere l'amore: lo vide, si mosse a pietà, si avvicinò, scese, versò, fasciò, caricò, lo portò, si prese cura, pagò... fino al decimo verbo: al mio ritorno salderò il debito se manca qualcosa. Questo è il nuovo decalogo, i nuovi dieci comandamenti, una proposta per ogni uomo, credente o no, perché l'uomo sia uomo, la vita sia amica, la terra sia abitata da «prossimi», non da avversari.
· Ma chi è il mio prossimo? Gesù risponde: tuo prossimo è chi ha avuto compassione di te. Allora ricordati di amare i tuoi samaritani, quelli che ti hanno salvato, hanno versato olio e vino sulle tue ferite, e riversato affetto in cuore. Non dimenticare chi ti ha soccorso e ha pagato per te. Li devi amare, con gioia, con festa, con gratitudine. E poi da loro imparare. Va e anche tu fa lo stesso. Anche tu diventa samaritano, fatti prossimo, mostra misericordia. Il vero contrario dell'amore non è l'odio, è l'indifferenza.

Luca 10,1-12.17-20: MISSIONE DEI 72 DISCEPOLI

()XIV Domenica del Tempo Ordinario - Anno C

In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: -Pace a questa casa!-. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all'altra. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: -È vicino a voi il regno di Dio-».

Ermes Ronchi:
· Partono senza pane, né sacca, né denaro, senza nulla di superfluo, anzi senza nemmeno le cose più utili. Solo un bastone cui appoggiare la stanchezza e un amico a sorreggere il cuore. Senza cose. Semplicemente uomini. Perché l'incisività del messaggio non sta nello spiegamento di forza o di mezzi, ma nel bruciore del cuore dei discepoli, sta in quella forza che ti fa partire, e che ha nome: Dio. La forza del Vangelo, e del cristianesimo, non sta nell'organizzazione, nei mass-media, nel denaro, nel numero. Ancora oggi passa di cuore in cuore, per un contagio buono. Partono senza cose, perché risalti il primato dell'amore. L'abbondanza di mezzi forse ha spento la creatività nelle chiese.
· Il viaggio dei discepoli è come una discesa verso l'uomo essenziale, verso quella radice pura che è prima del denaro, del pane, dei ruoli. Anche per questo saranno perseguitati, perché capovolgono tutta una gerarchia di valori.
· Gesù affida ai discepoli una missione che concentra attorno a tre nuclei: Dove entrate dite: pace a questa casa; guarite i malati; dite loro: è vicino a voi il Regno di Dio. I tre nuclei della missione: seminare pace, prendersi cura, confermare che Dio è vicino.
· Portano pace. E la portano a due a due, perché non si vive da soli, la pace. La pace è relazione. Comporta almeno un altro, comporta due in pace, in attesa dei molti che siano in pace, dei tutti che siano in pace. La pace non è semplicemente la fine delle guerre: Shalom è pienezza di tutto ciò che desideri dalla vita.
· Guariscono i malati. La guarigione comincia dentro, quando qualcuno si avvicina, ti tocca, condivide un po' di tempo e un po' di cuore con te. Esistono malattie inguaribili, ma nessuna incurabile, nessuna di cui non ci si possa prendere cura.
· Poi l'annuncio: è vicino, si è avvicinato, è qui il Regno di Dio. Il Regno è il mondo come Dio lo sogna. Dove la vita è guarita, dove la pace è fiorita. Dite loro: Dio è vicino, più vicino a te di te stesso; è qui, come intenzione di bene, come guaritore della vita.
· E poi la casa. Quante volte è nominata la casa in questo brano! La casa, il luogo più vero, dove la vita può essere guarita. Il cristianesimo dev'essere significativo nel nostro quotidiano, nei giorni delle lacrime e della festa, nei figli buoni e in quelli prodighi, quando l'amore sembra lacerarsi, quando l'anziano perde il senno e la salute. Lì la Parola è conforto, forza, luce; lì scende come pane e come sale, sta come roccia la Parola di Dio, a sostenere la casa.

Luca 9,51-62: Cattiva accoglienza di un villaggio di Samaria ed esigenze della VOCAZIONE APOSTOLICA

(Mt 8,18-22) XIII Domenica del Tempo Ordinario - Anno C

Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l'ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio. Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo». A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va' e annuncia il regno di Dio». Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all'aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio».

Ermes Ronchi:
· Tre brevi dialoghi su come seguire Gesù. Il primo personaggio che entra in scena è un generoso e dice: Ti seguirò, dovunque tu vada! Gesù deve avere gioito per lo slancio, deve aver apprezzato l'entusiasmo giovane di quest'uomo. Eppure risponde: Pensaci. Neanche un nido, neanche una tana, solo strada, ancora strada. Non un posto dove posare il capo, se non in Dio, quotidianamente dipendente dal cielo. Così è Gesù: nudo amore che deve essere amato in nuda povertà. Eppure seguirlo è scoprire una ricchezza che mai avrei immaginato; è diventare ricchi, non di cose, di luoghi o nidi, ma di incontri, di opportunità, di luce. Gesù non ha una casa, ma ne trova cento sul suo cammino, colme di volti amici. Le parole di Gesù sono sempre, anche quelle dure, una risposta al nostro bisogno di felicità.
· Il secondo riceve un invito diretto: Seguimi! E questi risponde: sì. Solo permettimi di andare prima a seppellire mio padre. La richiesta più legittima che si possa pensare, dovere di figlio, compito di umanità. Gesù replica con parole tra le più dure del vangelo: Lascia che i morti seppelliscano i morti! Parole che dicono: è possibile essere dei morti dentro, vivere una vita spenta, una religiosità oscura, tenebrosa, intrisa di paure. Parole dure che sottintendono però: segui me, io ti darò il segreto della vita autentica! Il Vangelo è sempre un inno alla vita, scoperta di bellezza, incremento di umanità.
· Infine il terzo dialogo: Ti seguirò, Signore, ma prima lascia che mi congedi da quelli di casa. Una richiesta delicata e naturale. È così duro il cammino senza amici e senza affetti! Tutto si gioca attorno a una parola-simbolo: «prima». La cosa da fare prima, indica la priorità del cuore, quello che sta in cima ai tuoi pensieri, il tuo Dio o il tuo idolo. La risposta di Gesù: Non voltarti indietro, non guardare a ciò che ti mancherà, ma a ciò che ti viene donato. Non guardare alle difficoltà, ma all'orizzonte che si apre. Non alla nostalgia, ma alla strada e ai grandi campi del mondo. La fede spalanca orizzonti più grandi. Chi si volta indietro non è adatto al Regno. Ma allora chi è adatto? Chi non si è mai voltato indietro? Non Pietro, non Giacomo e gli altri. Non ce l'hanno fatta i Dodici, come posso pensare di farcela io? Ma Gesù non cerca eroi incrollabili per il suo regno, ma uomini e donne autentici che sappiano sceglierlo ogni giorno di nuovo, che sappiano rispondere «sì», ogni volta, come Pietro, all'unica domanda: mi vuoi bene?

Luca 9, 28-36: LA TRASFIGURAZIONE

II Domenica di Quaresima Anno C

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elìa, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme (...) Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa». Egli non sapeva quello che diceva. Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All'entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo!» (...).

Ermes Ronchi:
· La trasfigurazione è la festa del volto bello di Cristo. Il volto è la grafia dell'anima, la scrittura del cuore: Dio ha un cuore di luce. Il volto di Gesù è il volto alto dell'uomo. Noi tutti siamo come un'icona incompiuta, dipinta però su di un fondo d'oro, luminoso e prezioso che è il nostro essere creati a immagine e somiglianza di Dio. L'intera vita altro non è che la gioia e la fatica di liberare tutta la luce e la bellezza che Dio ha deposto in noi: «il divino traspare dal fondo di ogni essere» (Teilhard de Chardin).
· Il volto del Tabor trasmette bellezza: è bello stare qui, altrove siamo sempre di passaggio, qui possiamo sostare, come fossimo finalmente a casa. È bello stare qui, su questa terra che è gravida di luce, dentro questa umanità che si va trasfigurando. È bello essere uomini: voi siete luce non colpa, siete di Dio non della tenebra.
· La Trasfigurazione inizia già in questa vita (conosciamo tutti delle persone luminose, volti di anziani bellissimi, nelle cui rughe si è come impigliato un sole) e il Vangelo indica alcune strade:
- la prima strada è la preghiera (e mentre pregava il suo volto cambiò di aspetto) che rende più limpido il volto, ti rende più te stesso, perché ti mette in contatto con quella parte di divino che compone la tua identità umana;
- è necessario poi conquistare lo sguardo di Gesù che in Simone vede la roccia, nella donna dei 7 demoni vede la discepola, in Zaccheo vede il generoso...; allenare cioè gli occhi a vedere la luce delle cose e delle persone, non le ombre o il negativo. Se ti guardo cercando le tue ombre, io già ti condanno. Io devo confermare l'altro che ha luce in sé, allora lui camminerà avanti;
- terza strada è nel verbo che è il vertice conclusivo del racconto: ascoltatelo. Chi ascolta Gesù, diventa come lui. Ascoltarlo significa essere trasformati.
· Il salmo 66 augura: Il Signore ti benedica con la luce del suo volto. La benedizione di Dio non é ricchezza, salute o fortuna, ma semplicemente la luce: luce interiore, luce per camminare e scegliere, luce da gustare. Dio ti benedice ponendoti accanto persone dal volto e dal cuore di luce, che hanno il coraggio di essere ingenuamente luminosi nello sguardo, nel giudizio, nel sorriso. Dio benedice con persone cui poter dire, come Pietro sul monte: è bello essere con te! Mi basta questo per sapere che Dio c'è, che Dio è luce. E il tuo cuore ti dirà che tu sei fatto per la luce.

Io:
- Dal deserto alla montagna, dalle tentazioni alla trasfigurazione, dall’esperienza del diavolo all’esperienza di Dio… Dagli abissi della nostra umanità (dove la tentazione è vinta con la FEDE, con l’ancorarsi alla volontà di Dio) alle alte vette della montagna dove poter guardare con SPERANZA in alto e in avanti.
- Nella II tappa del cammino quaresimale Gesù ci porta con lui (così come ha fatto con Pietro, Giovanni e Giacomo) in montagna PER PREGARE. E’ una costante dell’evangelista Luca quella di presentarci Gesù in preghiera, in comunione piena e continua con il Padre. Probabilmente questa volta ha passato la nottata in preghiera e i suoi discepoli si sono addormentati, OPPRESSI dal sonno.
- Al RISVEGLIO si trovano in mezzo ad uno spettacolo che li turba e, insieme, li affascina: vedono il VOLTO di Gesù luminosissimo e, accanto a lui, due personaggi famosi vissuti secoli prima di loro: MOSE’ ed ELIA che conversano con lui del suo ESODO.
- Stanno ancora SOGNANDO? Ma è possibile fare tutti lo stesso sogno? Si saranno suggestionati a vicenda? Non lo sappiamo e il dubbio forse permane anche in loro, tanto che non hanno il coraggio di parlarne neanche con i loro compagni. Quando lo faranno cercheranno di spiegare il significato di quanto hanno vissuto:
- Gesù ha mostrato, nella preghiera, la sua vera identità di Figlio di Dio. E’ stata quasi una conferma, lungo il cammino che lo conduce a Gerusalemme, verso la Passione e Morte, del suo destino di Resurrezione (da notare che questo episodio avviene 8 giorni dopo la confessione di Pietro che riconosce in Gesù il Messia e il diverbio tra loro per l’annuncio della Passione e Morte che dovrà presto subire). Si TRASFIGURA, non TRASFORMA (cambia figura, non forma): il VOLTO è, con gli occhi, lo specchio dell’anima: mostra quello che stiamo vivendo, il nostro “stato d’animo”. Chi è felice ha un volto luminoso, chi è triste ha un volto scuro, ombroso. Chi fa esperienza di Dio (pensiamo sempre a Mosè dopo l’incontro con Dio sul monte Sion:
- Gesù è apparso loro come il CULMINE, l’apice di tutta la Scrittura: è come se la LEGGE, rappresentata da Mosè, e i PROFETI, rappresentati da Elia, volessero preparare il popolo ad accogliere e comprendere il suo ESODO, cioè il suo PASSAGGIO dalla vita umana per entrare (e farci entrare) nella vita eterna, nella vita divina.
- I discepoli si rendono conto che sono di fronte ad una esperienza di Dio (teofania): ne hanno timore e insieme ne sono affascinati. Cercano quasi di fissare, DELIMITARE questa presenza, di contenerla in 3 tende o capanne. Ma è Dio stesso ad avvolgerli con la sua NUBE e ad indicargli cosa devono fare: ASCOLTATELO! Che significa: SEGUITELO, dategli ascolto, cioè fidatevi di lui: sono io stesso a confermarlo. Sono io che lo sto guidando in questo cammino che lo porterà presto a dare la vita a Gerusalemme. E’ lì che dovete seguirlo senza scoraggiarvi di fronte all’apparente fallimento che vi sembrerà di vivere.
- E NOI? Quali indicazioni possiamo trarre da questo racconto e dalle altre letture ascoltate?
1. “Guarda il cielo”: sappi guardare in alto, cioè abbi SPERANZA, guarda al futuro credendo che Dio lo guida e trasforma il tuo mondo e questo mondo, realizza la sua promessa di bene.
2. Con la Trasfigurazione abbiamo un ANTICIPO del nostro DESTINO: anche noi saremo trasfigurati, vivremo nella luce piena, in comunione con le persone che ci hanno anticipato. E’ un motivo in più per fondare la nostra speranza, per affrontare anche la CROCE, sapendo che è solo una tappa provvisoria del nostro cammino. La meta è un’altra, e vale la pena faticare oggi per raggiungerla.
3. Cresciamo nella PREGHIERA: nella consapevolezza che è uno STRUMENTO potentissimo per imparare ad affidarci a Dio, per metterci nelle sue mani, per condividere la sua forza, energia vitale, il suo amore contagioso. Di fronte alla preghiera siamo spesso come bambini: incapaci di viverla a fondo, impazienti, scostanti. Dobbiamo ALLENARCI a viverla! La preghiera rende più limpido il volto, ti rende più te stesso, perché ti mette in contatto con quella parte di divino che compone la tua identità umana.
4. Superiamo l’aspetto esteriore, superficiale delle persone. Impariamo a guardare dentro, in modo INTE-LLIGENTE (da inte-ligo: leggere dentro) oltre le maschere che ci portiamo e che spesso nascondono e sfigurano la nostra vera identità di figli di Dio, di uomini creati a sua immagine. Gesù è riuscito a vedere in Pietro la roccia, nella donna indemoniata la discepola fedele, in Zaccheo, ladro esattore delle tasse, il generoso uomo che desidera cambiare vita… Non fermiamoci alle ombre, al NEGATIVO, ma cogliamo e incoraggiamo l’altro nel positivo che ha dentro.
5. ASCOLTATELO! E’ il vertice di tutto il racconto e il vertice della nostra fede: imparare ad ascoltarlo, seguirlo, imitarlo. Imparare così ad essere CITTADINI DEI CIELI, persone limpide, luminose, sorridenti, positive, entusiaste, appassionate, felici.

Luca 9,18-24: PROFESSIONE DI PIETRO

(Mt 16, 13-21; Mc 8,27-31) XII Domenica del Tempo Ordinario - Anno C

Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?». Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa; altri uno degli antichi profeti che è risorto». Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio». Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno. «Il Figlio dell'uomo - disse - deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno». Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà».

Ermes Ronchi:
· Le folle chi dicono che io sia? La risposta è bella e sbagliata. Dicono che sei un profeta: una creatura di fuoco e di luce, voce di Dio e suo respiro.
· La seconda domanda arriva diretta, esplicita: Ma voi chi dite che io sia? Preceduta da un «ma», come se i Dodici appartenessero ad un'altra logica.
· La terza domanda, sottintesa, è diretta a me: ma tu chi dici che io sia? Gesù non chiede una risposta astratta: «chi è Dio», o «chi sono io»; mette in questione ciascuno di noi: tu, con il tuo cuore, la tua fatica, il tuo peccato e la tua gioia, «Chi sono io per te?» Non è la definizione di Cristo che è in gioco, ma quanto di lui vive nella tua esistenza. Allora chiudere tutti i libri e aprire la vita.
· Gesù ci educa alla fede attraverso domande, perché niente è ovvio, né Dio né l'uomo, né il bene né il male. Non servono studi, letture, catechismi, ma fame di pane e di assoluto. Ciascuno, che ha Dio nel sangue, deve dare la sua risposta. Ed è una risposta in-finita, mai finita. Cristo non è ciò che dico di lui, ma ciò che vivo di lui; non è le mie parole ma la mia passione.
· Gesù stesso offre l'inizio della risposta: il Figlio dell'uomo deve soffrire molto, venire ucciso e poi risorgere. Ecco chi è: un Crocifisso amore, dove non c'è inganno. Che inganno può nascondere uno che morirà di dolore e di amore per te? Disarmato amore che non è mai entrato nei palazzi dei potenti se non da prigioniero, che non ha assoldato guardie, che i nemici non li teme, li ama. Amore vincente. Pasqua è la prova che Dio procura vita a chi produce amore. Amore indissolubile, da cui «nulla mai ci separerà» (Rom 8,38). Nulla mai: due parole assolute, perfette, totali. Niente fra le cose, nessuno fra i giorni.
· Se qualcuno vuol venire dietro a me, prenda la sua croce e mi segua. Non è un invito alla rassegnazione, non occorreva Gesù per questo. La Croce è invece la sintesi della sua storia: scegli per te una vita che sia il riassunto della mia vita. Prendi su di te la tua porzione d'amore, altrimenti non vivi. Accetta la porzione di croce che ogni passione porta con sé, altrimenti non ami. Non un invito a patire di più, ma a far fiorire di più la zolla del cuore, a conquistare la sua infinita passione per Dio e per l'uomo, per tutto ciò che vive sotto il sole, e oltre il grande arco del sole.

martedì 9 agosto 2011

Gv 14,15-21: UN ALTRO PARACLITO

VI DOMENICA DI PASQUA, anno A

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi.
Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi.
Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».


Alberto Maggi:
Per la prima volta nel vangelo di Giovanni Gesù chiede amore verso se stesso. Ma lo fa soltanto dopo aver manifestato al massimo la sua capacità d’amore, facendosi servizio per i suoi, dopo aver lavato loro i piedi.
Gesù dice: “«Se mi amate osserverete i miei comandamenti»”. C’è un unico comandamento che Gesù ha lasciato nel corso della cena, cioè di amarsi gli uni gli altri come lui li ha amati, cioè come lui li ha serviti. Quindi Gesù dice: “Se mi amate servitevi gli uni gli altri”.
Non è un amore che Gesù chiede nei propri confronti, ma la prova dell’amore verso Gesù è l’amore scambievole che si fa servizio verso gli altri.
Ebbene, come risposta a questo amore, Gesù annuncia che pregherà il Padre, “«Ed egli vi darà un altro Paraclito»”, un termine greco che è difficile tradurre nella nostra lingua, e significa “colui che viene in soccorso, colui che aiuta, che difende”, il protettore. Non è un nome dello Spirito, ma una funzione. Gesù, fintanto che era vivo, provvedeva lui a questa funzione di pastore che protegge i suoi ed è pronto a dare la vita. Bene, ora che non ci sarà più, ci sarà il suo Spirito.
E sarà un vantaggio. Infatti Gesù dice “«perché rimanga con voi per sempre»”. Mentre Gesù non sempre poteva essere con i suoi discepoli, il suo Spirito sarà sempre nella sua comunità. Il fatto che rimane per sempre significa che l’azione di questo Spirito non interviene nei momenti di pericolo o nelle situazioni di emergenza, ma le precede. E questo dà piena sicurezza e serenità alla comunità cristiana. Gesù definisce questo Spirito “lo Spirito della verità” – la verità è l’amore che si fa servizio – “«che il mondo non può ricevere»”.
Il mondo è il sistema di potere che è incompatibile con l’amore che si fa servizio. Infatti dice “perché non lo vede e non lo conosce”. In questo vangelo quelli che non conoscono Gesù, quelli che non conoscono il Padre, sono le autorità religiose. Chi vive in un ambito di potere non può neanche minimamente capire cosa significhi un amore che si fa servizio. E Dio è questo.
“«Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi»”. L’evangelista adopera lo stesso verbo dello Spirito che rimane su Gesù. “«E sarà in voi»”. Come lo Spirito rimane in Gesù, così questo Spirito rimane nella comunità dei credenti. E poi Gesù dà la sicurezza – sta annunziando la sua morte – “«Non vi lascerò orfani: verrò da voi.»” La sua non sarà un’assenza, ma una presenza ancora più intensa. “«Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più»”, il mondo di potere non lo potrà più vedere fisicamente, “«invece voi mi vedrete»”; cosa significa? La sintonia con la vita di Gesù lo rende presente, vivo e vivificante all’interno della sua comunità.
“«Perché io vivo e voi vivrete»”. Chi nella sua vita nutre gli altri sperimenterà sempre colui che si è fatto pane di vita per alimentare i suoi. “«In quel giorno»”, che è il giorno della morte e dell’effusione dello Spirito, “«Voi saprete che io sono nel Padre mio»”, nella pienezza della condizione divina, “«E voi in me e io in voi»”.
Si realizza quello che da sempre l’evangelista aveva annunziato: Dio è amore che chiede di essere accolto per fondersi con gli uomini e dilatarne la capacità d’amore in modo che la comunità diventi l’unico santuario visibile nel quale si irradia l’amore di Dio. Nella comunità dei credenti Dio assume il volto umano e gli uomini assumono il volto divino.
E Gesù conclude dicendo: “«Chi accoglie i miei comandamenti»”, sottolinea che sono i suoi comandamenti, e non quelli di Mosè. E l’unico comandamento, le attuazioni pratiche di questo unico comandamento dell’amore che si fa servizio, per Gesù sono importanti come i comandamenti. “«E li osserva, questi è colui che mi ama»”.
Quindi l’amore verso Gesù non è rivolto alla sua persona ma si dirige verso gli altri nella pratica dei suoi comandamenti, cioè nel far propri gli stessi valori di Gesù. Più gli uomini sono umani e più permetteranno al divino di affiorare in loro. Questa è la sintonia d’amore di Dio con gli uomini, e degli uomini con Dio.
E infine la conclusione, “«Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui»”. Quindi Gesù conferma che se c’è questo dinamismo di un amore ricevuto che si trasforma in amore comunicato, la comunità diventa l’unico santuario dove si manifesta l’amore del Padre. Quanto più grande sarà la risposta degli uomini praticando l’amore verso gli altri, tanto più grande sarà la risposta del Padre con una nuova effusione di Spirito e di nuove capacità d’amore ai suoi.

Luca 9,11-17: MOLTIPLICAZIONE DEI PANI

(Mt 14,13-21; Mc6,30-44; Gv6,1-13) Santissimo Corpo e Sangue di Cristo - Anno C

In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure. Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta». Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». C'erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

Ermes Ronchi:
• Gesù prese a parlare di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure. C'è tutto l'uomo in queste parole; il suo nome: creatura-che-ha-bisogno, di Dio e di cure, di pane e di assoluto. C'è tutta la missione di Gesù: accogliere, dare speranza, guarire. C'è il nome di Dio: Colui-che-si-prende-cura.
• Ma il giorno declina, bisogna pensare alle cose pratiche, gli apostoli intervengono: mandali via perché possano andare a cercarsi da mangiare. Ma Gesù non ha mai mandato via nessuno. Il Signore non manda via perché lui per primo ha bisogno di comunione, con ogni dolore, con ogni peccato, ogni sorriso. Vive di comunione, vive donandosi.
• Gesù replica invece con un ordine che inverte la direzione del racconto: date loro voi stessi da mangiare. «Date»: un ordine che attraversa i secoli, che arriva fino a me, che echeggerà nel giorno del Giudizio: avevo fame e mi avete dato da mangiare... Dio che lega la nostra salvezza a un po' di pane donato, lega la sconfitta della storia al pane negato.
• Non abbiamo che cinque pani e due pesci... è poco, quasi niente. Ma la sorpresa di quella sera è che poco pane condiviso tra tutti è sufficiente; che la fine della fame non consiste nel mangiare a sazietà, da solo, voracemente, il tuo pane, ma nel condividerlo, spartendo il poco che hai, due pesci, il bicchiere d'acqua fresca, olio e vino sulle ferite, un po' di tempo e un po' di cuore. Noi siamo ricchi solo di ciò che abbiamo donato. Sulle colonne dell'avere troveremo solo ciò che abbiamo dato ad altri. Dal pane al corpo.
• La festa del Corpo di Cristo, offerto come pane, dice che «né a noi né a Dio è bastata la Parola. Troppa fame ha l'uomo e Dio ha dovuto dare la sua carne e il suo sangue» (Divo Barsotti). «Ecco il mio corpo», ha detto Gesù, e non, come ci saremmo aspettati: «ecco la mia anima, il mio pensiero, la mia divinità, ecco il meglio di me», semplicemente, poveramente: «ecco il corpo». La cosa più vicina a noi, casa della fatica, volto modellato dalle lacrime e levigato dai sorrisi, sacramento di incontri, luogo dove è detto il cuore. Cristo dà il suo corpo, perché vuole che la nostra fede si appoggi non su delle idee, ma su di una Persona, assorbendone storia, sentimenti, piaghe, gioie, luce; dà, perché dare è la legge della vita, unica strada per una felicità che sia di tutti.

Luca 7,36-8,3: A TAVOLA IN CASA DI SIMONE

() XI Domenica Tempo Ordinario - Anno C

In quel tempo, uno dei farisei invitò Gesù a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo; stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo. (...)
E, volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l'acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli (...) Tu non hai unto con olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo. Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco» (...).

Ermes Ronchi:
• Un momento esplosivo del Vangelo, che rovescia convenzioni e ruoli, che mette prepotentemente al centro l'amore: questa donna ha molto amato. Questo basta. Un Vangelo che ci provoca, ci contesta e ci incoraggia. La fede non è un intreccio complicato di dogmi e doveri. Gesù ne indica il cuore: ama, hai fatto tutto. Ecco una donna venne- con un vasetto di profumo. Non con la cifra corrispondente (da dare ai poveri), non a mani vuote, non con un discorso di belle parole. Viene con quello che ha, con ciò che esprime amore, più che pentimento. Qualcosa per il corpo di Gesù, solo per il corpo, e che rivela amore. Bagna i suoi piedi con le lacrime, li asciuga con i capelli, li profuma, li bacia. Sono gesti imprevisti, nuovi, oltre la legge, oltre lecito e illecito, oltre doveri o obblighi, con una carica affettiva veemente. Ai quali Gesù non si sottrae, che apprezza. Bastava, come tanti altri, chiedere perdono.
• Ma perché questi gesti eccessivi, il profumo e le carezze e i baci? Già nella legge antica Dio aveva chiesto per sé un altare per i profumi; nel Cantico dei Cantici il profumo prolunga la presenza dell'amato, quando ha lasciato la stanza; le carezze e i baci sono la lingua universale dove è detto il cuore.
• Gesù guarda al di là delle etichette: arriva una donna, gli altri vedono una peccatrice, lui vede un'amante: ha molto amato. L'amore vale più del peccato. È la nostra identità. L'errore che hai commesso non rèvoca il bene compiuto, non lo annulla. È il bene invece che revoca il male di ieri e lo cancella. Una spiga conta più di tutta la zizzania del campo. Questo Dio che ama il profumo e le carezze, mi commuove. Non è il grande contabile del cosmo, ma è offerta di solarità, possibilità di vita profonda, gioiosa, profumata, che sa le sorgenti della gioia, del canto, dell'amicizia. Un solo gesto d'amore, anche muto e senza eco, è più utile al mondo dell'azione più clamorosa, dell'opera più grandiosa. È la rivoluzione totale di Gesù, possibile a tutti, possibile ogni giorno.

lunedì 8 agosto 2011

Luca 5,1-11: Chiamata dei primi quattro discepoli

(Mt 4,18-29; Mc 1,16-20) V Domenica del Tempo Ordinario - Anno C

In quel tempo, (...) quando Gesù ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. (...) Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d'ora in poi sarai pescatore di uomini». E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.

Ermes Ronchi:
• Tirate le barche a terra lasciarono tutto e lo seguirono. Senza neppure sapere dove sarebbero andati, dove li avrebbe condotti! Lasciano il lago e trovano il mondo.
• Tutto è cominciato con una notte buttata, le reti vuote, la fatica inutile. Un gruppetto di pescatori delusi, indifferenti alla folla eccitata e al Maestro. E Gesù entra con delicatezza nelle loro vite, prega Simone di staccarsi un po' dalla riva.
• Lo prega: notiamo la finezza del verbo scelto da Luca: «Simone, per favore, ti prego!». Gesù maestro di umanità ci insegna quali sono le parole che, nel momento difficile, trasmettono speranza ed energia: non l'imposizione o la critica, non il giudizio o l'ironia, neanche la compassione.
• Ma una preghiera che fa appello a quello che hai: per quanto poco; a quello che sai fare: per quanto poco! Pietro, hai una barca, hai delle reti: ripartiamo da questo. Prendi il largo e getta le reti per la pesca. E si riempiono. Dio riempie la vita, dà una profondità unica a tutto ciò che penso e faccio; riempie le reti di ciò che amo e la vita di futuro.
• Simone si spaventa: «Allontanati da me perché sono solo un peccatore!». Gesù sulle acque del lago ha una reazione bellissima. Non risponde: «Non è vero, non sei peccatore, non più degli altri», non giudica, non minimizza, neppure assolve. Pronuncia due parole: «Non temere. Tu sarai». Ed è il futuro che si apre, il futuro che conta più del presente e di tutto il passato.
• Non vale la pena parlare del peccato: il bene possibile domani vale più del male di ieri, e le reti piene oggi più di tutti i fallimenti di ieri. Non temere, anche la tua barca va bene! La tua zattera, il tuo guscio di noce, la tua vita va bene per fare qualcosa per gli uomini. Il peccato rimane, ma non può essere un alibi per chiudersi a Dio e al futuro. Gesù dà fiducia, conforta la vita ma poi la incalza, riempie le reti ma poi te le fa lasciare lì. Ti impedisce di accontentarti.
• Sarai pescatore di uomini. Vuol dire: cercherai uomini, li raccoglierai da quel fondo dove credono di vivere e non vivono; mostrerai loro che sono fatti per un altro respiro, un altro cielo, un'altra vita! E il miracolo del lago non consiste nelle barche riempite di pesci, non nelle barche abbandonate, il miracolo grande è Gesù che non si lascia impressionare dai miei difetti, non è deluso di me, ma mi affida il suo vangelo: seguimi, anche tu puoi fare qualcosa per gli uomini e per Dio.

Luca 4,21-30: GESU’ A NAZARET

(Mt13,53-58; Mc6,1-6) IV Domenica Tempo ordinario - Anno C

In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: -Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!-». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria.(...). «Fai anche da noi i miracoli di Cafàrnao!».

Ermes Ronchi:
• Più che Dio vogliono miracoli, il cielo a portata di mano a garantire salute e benessere. Anch'io preferisco apparizioni e prodigi ai profeti, come loro: assicura pane e miracoli e saremo dalla tua parte! Moltiplica il pane e ti faremo re (Gv 6,15). Gesù stesso ha dovuto affrontare la tentazione dei miracoli: buttati, verrà un volo di angeli a portarti! Ma Gesù sa che con il pane e i miracoli non si liberano le persone, piuttosto ci si impossessa di loro. Dio invece non si impossessa di nessuno, Dio non invade, si propone. Perché l'uomo non ama colui chi si impone: sarà anche ubbidito, ma non amato. E Dio vuole essere amato da questi liberi, splendidi e meschini figli.
• Non farò miracoli qui, dice Gesù, li ho fatti a Cafarnao e a Betsaida, il mondo è pieno di miracoli eppure non bastano mai, non fanno credere: Gesù risuscita Lazzaro e i farisei decidono non di seguirlo ma di ucciderlo!
• Il punto di svolta del racconto è in una domanda: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Che un profeta sia un uomo straordinario, una personalità eccezionale, siamo pronti ad accettarlo. Ma che la profezia sia di casa nella casa del falegname, in uno che non è neanche sacerdote o scriba, che ha le mani segnate dalla fatica, come le mie, che ha più o meno i problemi che ho io, con quella famiglia così così, ci pare impossibile. Ma lo Spirito accende il suo roveto all'angolo di ogni strada. Nessuno è profeta in patria: è detto a me che non so più ascoltare con attenzione, guardare con meraviglia le persone di tutti i giorni. L'abitudine ha spento l'incanto. Eppure non devo cercare lontano per intuire l'eco della voce di Dio, lo scintillio della sua luce: basta che riprenda a guardare con occhi nuovi, come se fosse la prima volta, ciò che credo di conoscere bene: i volti di chi mi vive accanto, il quotidiano ritorno della luce, le parole della preghiera che ripeto distratto, i riti dell'amicizia e dell'amore...
• I miracoli accadono davvero. Io li ho visti: ho visto genitori risorgere dopo il dramma atroce di un figlio morto, famiglie disarmarsi e perdonare la violenza subita, donne violate e tradite riprendere a sorridere e ad amare, persone capaci di dare tutto per un familiare o un bimbo sconosciuto, ho visto la primavera. I miracoli sono perfino troppi, per chi ha l'occhio puro. Salviamo lo stupore! È l'inizio della sapienza.

Io: COGLIERE (e ACCOGLIERE) lo straordinario nell'ordinario
• II parte dell'episodio narrato domenica scorsa (ricordate? Gesù, dopo i consensi ricevuti a Cafarnao torna nella sua cittadina di Nazaret ed entrato, come al suo solito, in sinagoga, annuncia: "Oggi si è compiuta questa parola che voi avete udito".
• Oggi ascoltiamo le REAZIONI da parte dei suoi concittadini: esse sono un miscuglio di meraviglia, di perplessità/scetticismo e di rifiuto:
• - MERAVIGLIA: "tutti gli rendevano testionianza per le parole di grazia che uscivano dalla sua bocca";
• - PERPLESSITA'/SCETTICISMO: "non è costui il figlio di Giuseppe? Noi lo conosciamo "bene": com'è che, una persona normale come lui, adesso pretende di farsi passare per un Profeta e magari per il Messia? Perchè allora non opera anche in mezzo a noi i miracoli che sembra abbia compiuto a Cafarnao?
• - RIFIUTO: cercano di ELIMINARE Gesù spigendolo fin sul ciglio del monte per gettarlo giù.
• Qual'è la nostra reazione di fronte alle parole di Gesù? Di fronte ai suoi PROFETI che anche oggi lo Spirito suscita in mezzo a noi? Forse ci sarà pure un pò di sana meraviglia, ma non viviamo soprattutto di INDIFFERENZA? Non ci sembrano forse cose già sentite quelle dette da Gesù? Non ci capita forse di pensare di conoscere, di dare per scontato, di essere scettici, prevenuti, chiusi alle novità? Non siamo forse anche noi attratti dallo straordinario (miracoli, prodigi...) e con fatica cogliamo la presenza di Dio nell'ordinario della nostra vita, l'irrompere della sua grazia nell'oggi della nostra esistenza?
• Forse non condividiamo anche noi qualche forma di RIFIUTO nei confronti di Gesù quando lo accettiamo a parole, ma poi, di fronte a tante scelte concrete, a tanti atteggiamenti, a ciò che ci fa "comodo", non lo eliminiamo anche noi dalla nostra vita, dalla nostra società? E' il dramma della nostra libertà: liberi di accettare o di respingere la salvezza, Gesù Cristo.
• Eppure, nonostante tutti i tentativi fatti, è IMPOSSIBILE ELIMINARE GESU' dalla nostra vita e dalla nostra società: riemerge sempre, nel più profondo di noi, magari nei momenti di difficoltà, di angoscia, di fragilità, una ricerca di lui, un bisogno di lui, così come nella nostra società materialistica e relativista riemerge un bisogno di sacro in ogni espressione umana (vedi la musica, la letteratura, l'arte, il cinema, la politica).
• Gesù è in cammino, è oltre noi: non possiamo definitivamente eliminarlo, nè sfruttarlo per i nostri scopi, nè ridurlo a ciò che ci conviene.
• * Ma perchè Gesù non può operare miracoli, "guarigioni" nella sua cittadina? Perchè non è un mago o uno stregone che fa sfoggio delle sue abilità, del suo potere. Ciò che opera richiede la nostra FEDE ed è rivolto ad aumentare la nostra fede. Perchè Gesù operi anche oggi prodigi è necessario che essi avvengano attraverso di noi, richiedono l'accettazione della novità, dello straordinario che irrompe nell'ordinarietà di una vita vissuta per amore e nell'amore. Richiede di rompere con la nostra indifferenza e con la nostra autosufficienza. Non possiamo farlo agire nello scetticismo (in molti miracoli Gesù chiede: "credi tu che io possa fare questo?" "Tu continua a credere"), nella presunzione di sapere già cosa succederà, nel dare tutto per scontato.
• - Ecco allora i due esempi posti da Gesù, quello della vedova di Zarepta visitata dal profeta Elia e quello del lebbroso Naaman guarito da Eliseo. Essi sono due stranieri, due emarginati e ci ricordano:
• > innanzitutto la PREDILEZIONE di Dio nei confronti dei poveri (ciò significa che siamo chiamati a seguire l'esempio di Dio e fare nostra tale predilezione, tale amore);
• > di FIDARSI come loro, nonostante il fatto che razionalmente non possono ottenere previe assicurazioni. Ma, in fondo, cosa hanno da perdere queste due persone? La prima è ridotta dalla carestia a non sapere di cosa potrà sfamarsi domani. Il profeta gli chiede di condividere quel poco che gli è rimasto con lui. Gli assicura che Dio non gli farà mancare il necessario. Il lebbroso è chiamato a vincere la superbia e lo scetticismo, di fidarsi del profeta che gli chiede di fare una cosa apparentemente irrazionale: bagnarsi alcune volte nel fiume Giordano.
• Il profeta è rifiutato in patria così come la novità è rifiutata da chi da tutto per scontato, da chi non è capace di guardare con occhi nuovi (con gli occhi di Dio) gli altri, da chi non attende nulla, non sogna nulla, non spera nulla.
• Come GEREMIA siamo anche noi chiamati (da sempre) a seguire e TESTIMONIARE Dio con la nostra vita e con le nostre parole (perchè Dio parli in noi). Non temere: "Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno, perchè io sono con te per salvarti".
• La testimonianza che il mondo attende è quella dell'amore e San Paolo ci ricorda cos'è e cosa non è l'amore: AMARE COME AMA DIO, questa è il vertice e la meta. E come ama Dio? Ama per primo, ama tutti, ama sempre, ama gratuitamente (senza cercare ricompense) perchè:
• chi ama "cerca il bene dell'altro, non è invidioso", non si vanta delle opere di bene che fa, non si gonfia d'orgoglio (credendosi migliore, buono, solo perchè ha fatto del bene)...tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.

Matteo 4, 12-33: CONVERTITEVI PERCHE' IL REGNO DI DIO E' VICINO

III domenica Tempo ordinario Anno A

Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, (...) Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino». Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono. Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo.

La parola inaugurale di Gesù, premessa a tutto il Vangelo è: convertitevi. E subito il «perché» della conversione: perché il regno si è fatto vicino. Ovvero: Dio si è fatto vicino, vicinissimo a te, ti avvolge, è dentro di te. Allora «convértiti» significa: gìrati verso la luce, perché la luce è già qui. La conversione non è la causa ma l'effetto della tua «notte toccata dall'allegria della luce» (Maria Zambrano). Immaginavo la conversione come un fare penitenza del passato, come una condizione imposta da Dio per il perdono, pensavo di trovare Dio come risultato e ricompensa all'impegno. Ma che buona notizia sarebbe un Dio che dà secondo le prestazioni? Gesù viene a rivelarci che il movimento è esattamente l'inverso: è Lui che mi incontra, che mi raggiunge, mi abita. Gratuitamente. Prima che io faccia qualcosa, prima che io sia buono, Lui mi è venuto vicino. Allora io cambio vita, cambio luce, cambio il modo di intendere le cose. Scrive padre Vannucci: «la verità è che noi siamo immersi in un mare d'amore e non ce ne rendiamo conto». Quando finalmente me ne rendo conto, comincia la conversione. Cade il velo dagli occhi, come a Paolo a Damasco. Abbandono le barche come i quattro pescatori, lascio le piccole reti per qualcosa di ben più grande.
Gesù passando vide... Due coppie di fratelli, due barche, un lavoro? No, vede molto di più: in Simone bar Jona vede Kefa, Pietro, la roccia su cui fondare la sua chiesa; in Giovanni intuisce il discepolo dalla più folgorante definizione di Dio: Dio è amore; Giacomo sarà «figlio del tuono», uno che ha dentro la vibrazione e la potenza del tuono. Lo sguardo di Gesù è uno sguardo creatore, una profezia. Mi guarda, e vede in me un tesoro sepolto, nel mio inverno vede grano che matura, una generosità che non sapevo di avere, strade nel sole. Nel suo sguardo vedo per me la luce di orizzonti più grandi.
Venite dietro a me: vi farò pescatori di uomini. Raccoglieremo uomini per la vita. Li porteremo dalla vita sepolta alla vita nel sole. Risponderemo alla loro fame di libertà, amore, felicità. I quattro pescatori lo seguono subito, senza sapere dove li condurrà, senza neppure domandarselo: hanno dentro ormai le strade del mondo e il cuore di Dio. Gesù camminava per la Galilea e annunciava la buona novella, camminava e guariva la vita. La bella notizia è che Dio cammina con te, senza condizioni, per guarire ogni male, per curare le ferite che la vita ti ha inferto, e i tuoi sbagli d'amore. Dio è con te e guarisce. Dio è con te, con amore: la sola cosa che guarisce la vita. Questo è il Vangelo di Gesù: Dio con voi, con amore.

Luca 4,14-21 + 1,1-4: OGGI SI E' COMPIUTA QUESTA PAROLA

(Mt13,53-58; Mc6,1-6) III Domenica Tempo Ordinario - Anno C

In quel tempo, Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode. Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l'anno di grazia del Signore». Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all'inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».

Ermes Ronchi:
• Luca ci racconta la scena delle origini, scena da stampare nel cuore. Lo fa quasi al rallentatore, per farci comprendere l'estrema importanza di questo momento. «Gesù arrotola il volume, lo consegna, si siede. Tutti gli occhi sono fissi su di lui». Risuonano le prime parole ufficiali di Gesù, «oggi la parola di Isaia diventa carne»: si chiudono i libri e si apre la vita. Dalla carta scritta al respiro vivo. Dall'antico profeta a un rabbi che non impone pesi, ma li toglie, non porta precetti, ma libertà.
• L'umanità è tutta in quattro aggettivi: povera, prigioniera, cieca, oppressa. Sono i quattro nomi dell'uomo. Adamo è diventato così, per questo Dio diventa Adamo. Con quattro obiettivi: portare gioia, libertà, occhi nuovi, liberazione. E poi con un quinto perché spalanca il cielo, delinea uno dei tratti più belli del volto di Dio: «proclamare l'anno di grazia del Signore», un anno, un secolo, mille anni, una storia intera fatta solo di benevolenza, perché Dio non solo è buono, ma esclusivamente buono, incondizionatamente buono.
• I primi destinatari sono i poveri. Sono loro i principi del Regno, e Dio sta alla loro ombra. È importante: nel Vangelo ricorre più spesso la parola poveri, che non la parola peccatori. La Buona Notizia non è una morale più esigente o più elastica, ma Dio che si china come madre sul figlio che soffre, come ricchezza per il povero, come occhi per il cieco, come libertà da tutte le prigioni, come incremento d'umano.
• Dio non mette come scopo della storia se stesso, ma l'uomo; il Regno che Gesù annuncia non è un Dio che riprende il potere su una umanità ribelle e la riconduce all'ubbidienza, per essere servito, ma il Regno è un uomo gioioso, libero da maschere e da paure, dall'occhio luminoso e penetrante, incamminato nel sole. Un sublime capovolgimento. Dio dimentica se stesso, non di sé si ricorda, ma di noi: non offre libertà in cambio di ossequio, ama per primo, ama in perdita, ama senza contraccambio.
• La parola chiave del programma di Gesù è libertà, ripetuta due volte. Come mi libera Cristo? «Cristo è dentro di me come una energia implacabile, fintanto che tutto il nostro essere non diventa luminoso; dentro di me come germe in via di raggiungere la maturazione; come un sogno di pienezza di vita, indomabile e attivo, un desiderio di libertà» (G. Vannucci); come un lievito mite e possente che trasforma il mio pianto in danza, il mio sacco in veste di gioia.

Io:
- Il tema centrale di questa liturgia è la Scrittura, la Parola di Dio celebrata, vissuta e testimoniata. Gesù ci offre l'esempio più importante, proprio all'inizio del suo ministero pubblico così come viene descritto da Luca: dopo aver riscosso un grande successo a Cafarnao per le parole e i miracoli compiuti, torna nella sua cittadina dove, come al suo solito, partecipa alla liturgia nella Sinagoga.
- "Come al suo solito" Gesù, così come ogni buon ebreo, partecipa ogni sabato alla liturgia e non una volta ogni tanto, quando ha voglia, quando non ha fatto tardi la sera prima, quando non ha troppi compiti da fare. Ha studiato, come ogni buon ebreo la Scrittura. Ha imparato l'ebraico per poterla leggere e comprendere nella sua lingua originale. Conosce molti passi a memoria perchè è una mappa per la vita, una "lampada per i nostri passi". In Sinagoga viene letto un brano della Legge (del Pentateuco, ovvero di uno dei primi 5 libri della Bibbia). Un incaricato sceglie dai Profeti un altro brano da accostargli e inizia a commentare e spiegare quanto ha letto.
- Gesù ci insegna a prendere sul serio la Scrittura, a metterla come fondamento e come alimento della nostra fede, anzi, della nostra vita. La Scrittura và APERTA, LETTA, STUDIATA, COMPRESA, CONTEMPLATA- PREGATA e soprattutto VISSUTA e TESTIMONIATA.
- Và APERTA e LETTA: abbiamo nelle nostre case una Bibbia? La risposta non è poi così scontata! Quante volte, nell'ultimo anno, l'abbiamo aperta e letta? Quante volte rischiamo di metterla nella libreria e lasciare che si impolveri! L'ignoranza della Scrittura - scrive San Girolamo - è ignoranza di Dio!
- Và STUDIATA e COMPRESA senza cadere nelle interpretazioni soggettivistiche, emotive ("a me dice che..", "sento che...") c'è un messaggio oggettivo che và compreso; così come non dobbiamo cadere nel fondamentalismo del passato: "è scritto così, dunque deve essere così perchè la Bibbia non può contenere errori. Contiene la verità, ma la esprime con un linguaggio e con un simbolismo che è proprio delle persone del tempo (oggi noi usiamo dire: "quello è nato con la camicia" per dire che è fortunato, ma chi non appartiene alla nostra cultura potrebbe pensare che non siamo normali a credere che uno possa uscire dal grembo materno con la camicia incorporata). Per questo non possiamo accontentarci di leggerla, ma dobbiamo conoscere più a fondo il tipo di linguaggio che usa, il contesto, i destinatari...
- Và CONTEMPLATA e PREGATA: il contesto dei brani ascoltati è quello di una assemblea liturgica, di una comunità radunata da Dio e per Dio che con partecipazione (1° L) e attenzione (V: "gli occhi di tutti erano fissi su di lui") ascolta la Parola di Dio, PREGA con essa (pensiamo ad esempio ai Salmi che sono a fondamento della liturgia delle ore), CELEBRA essa, dando rilevanza alla Parola, sentendola come il primo alimento (e per questo proclamandola solennemente dall'ambone che considera come la MENSA della Parola), un alimento che và spezzato, a volte ricondotto dal sacerdote ad un cibo più facilmente digeribile. Alla Parola di Dio si risponde con le nostre preghiere che devono nascere dalla vita e insieme da quanto abbiamo ascoltato. La Parola diventa carne nel Figlio, carne che consumiamo come secondo e fondamentale alimento della nostra fede, della nostra dimensione spirituale.
- Và soprattutto VISSUTA e TESTIMONIATA: Oggi questa parola deve trovare COMPIMENTO in noi, deve parlare a ciascuno di noi, deve dirci non solo cosa è bene (per noi) fare o non fare, ma soprattutto rimetterci in cammino dietro al Signore, farci toccare con mano l'amore di Dio, la sua premura di Padre e di Madre.
- Gesù fa propria la Parola di Dio, la vive e la testimonia fino in fondo, trasformandola in vita, in una vita credibile e coerente. E' vedendo Gesù in Croce che ci ricordiamo di non essere di fronte ad una teoria astratta e lontana, ma di fronte ad un progetto di amore che ci coinvolge e che ci chiama ad essere, come comunità, spose dello Sposo, ad accettare e vivere una proposta di amore nuziale, cioè fedele, eterno, esclusivo, totalitario.
- Gesù è il vero ESEGETA, cioè colui che sà interpretare ed attualizzare la Scrittura. Tutto ciò che è scritto fa riferimento a Lui come suo compiemento. Allo stesso modo tutto ciò che è scritto deve trovare compimento OGGI, IN NOI. Gesù legge le parole di Isaia come rivolte ad ogni uomo, capaci di descrivere la desolazione dell'umanità che si è sempre più ridotta a vivere nella POVERTA', PRIGIONIERA, CIECA ed OPPRESSA. E vi legge sè stesso, il suo compito, il suo programma di vita: portare GIOIA, LIBERTA', OCCHI NUOVI, LIBERAZIONE e proclamare l'ANNO DI GRAZIA, cioè il tempo della BENEVOLENZA di Dio, dei suoi doni, della sua accessibilità: un anno eterno, un anno che si spalanca verso l'eternità.
- Scrive Tonino Bello: "Ci vuole bene il Signore, da morire!... Facciamo il proposito di leggere ogni giorno un brano del Vangelo perchè non conosciamo abbastanza la parola di Gesù Cristo. Ci ha mandato una lettera d'amore, bellissimo, e noi l'abbiamo messa nel cassetto senza aprirla. Viviamo quello che lui ci ha detto e allora la vita cambierà, acquisterà un senso diverso".

Matteo 28,16-20: ASCENSIONE DEL SIGNORE

Ascensione del Signore Anno A

In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

Ermes Ronchi:
Il termine «forza» lega insieme, come un filo rosso, le tre letture: «Avrete forza dallo Spirito Santo» (prima lettura); «Possiate cogliere l'efficacia della sua forza» (seconda lettura); «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra» (Vangelo). Forza per vivere, energia per andare e ancora andare, potenza per nuove nascite: la mia vita dipende da una fonte che non viene mai meno; la mia esistenza è attraversata da una forza più grande di me, che non si esaurirà mai e che fa la vita più forte delle sue ferite. È il flusso di vita di Cristo, che viene come forza ascensionale verso più luminosa vita, che mi fa crescere a più libertà, a più consapevolezza, a più amore, fonte di nuove nascite per altri.
L'Ascensione è una festa difficile: come si può far festa per uno che se ne va? Il Signore non è andato in una zona lontana del cosmo, ma nel profondo, non oltre le nubi ma oltre le forme: se prima era insieme con i discepoli, ora sarà dentro di loro. Sarò con voi tutti i giorni, fino alla fine del tempo. Il mio cristianesimo è la certezza forte e inebriante che in tutti i giorni, in tutte le cose Cristo è presente, forza di ascensione del cosmo. Ascensione non è un percorso cosmico geografico ma è la navigazione spaziale del cuore che ti conduce dalla chiusura in te all'amore che abbraccia l'universo (Benedetto XVI). Gesù lascia sulla terra il quasi niente: un gruppetto di uomini impauriti e confusi, che dubitano ancora, sottolinea Matteo; un piccolo nucleo di donne coraggiose e fedeli. E a loro che dubitano ancora, a noi, alle nostre paure e infedeltà, affida il mondo. Li spinge a pensare in grande, a guardare lontano: il mondo è vostro. Gesù se ne va con un atto di enorme fiducia nell'uomo. Ha fiducia in me, più di quanta ne abbia io stesso. Sa che riuscirò a essere lievito e forse perfino fuoco; a contagiare di Spirito e di nascite chi mi è affidato. Ascensione è la festa del nostro destino - solo il Cristianesimo ha osato collocare un corpo d'uomo nella profondità di Dio (Romano Guardini) - che si intreccia con la nostra missione: «Battezzate e insegnate a vivere ciò che ho comandato». «Battezzare» non significa versare un po' d'acqua sul capo delle persone, ma immergere! Immergete ogni uomo in Dio, fatelo entrare, che si lasci sommergere dentro la vita di Dio, in quella linfa vitale. Insegnate a osservare. Che cosa ha comandato Cristo, se non l'amore? Il suo comando è: immergete l'uomo in Dio e insegnategli ad amare. A lasciarsi amare, prima, e poi a donare amore. Qui è tutto il Vangelo, tutto l'uomo. Fate questo, donando speranza e amorevolezza a tutte le creature, tutti i giorni, in tutti gli incontri.

Io:
ASCENSIONE: Gesù Cristo, dopo aver condiviso la natura umana (e i limiti intrinseci ad essa) torna al Padre, riprende definitivamente la sua dimensione divina che implica per noi:
- da una parte di non poterlo più vedere con i nostri occhi, di non poterlo toccare, abbracciare, discutere insieme…
- dall’altra che Gesù, da quel momento, è realmente e contemporaneamente con noi tutti i giorni fino alla fine del mondo, quando anche noi potremmo condividere in pienezza la sua natura divina.
Mi spiego: se prima dell’ascensione Gesù era, come tutti noi, soggetto ai limiti spazio-temporali (poteva essere in un solo posto alla volta), ora, nella sua natura divina, supera questi limiti potendo essere contemporaneamente ovunque: ovunque presente in quel pane consacrato, ovunque presente in mezzo a coloro che sono uniti (e non solo riuniti) nel suo nome, presente nei più “piccoli”, nei poveri…
Dubitiamo? Facciamo fatica a crederci fino in fondo? Anche i suoi discepoli, lo abbiamo ascoltato nel Vangelo, dubitarono. Di fronte ai loro dubbi Gesù si avvicinò e li inviò nel mondo come testimoni del suo amore.
Come dire: i dubbi si superano amando, perché solo amando come lui ci ha amato possiamo sperimentarlo presente e operante in mezzo a noi: il gruppo impaurito di discepoli, spinti dal mandato di Gesù e dal dono del suo Spirito, diventa un gruppo di testimoni talmente credibile da coinvolgere in pochi anni migliaia di persone. Nasce la Chiesa , nasce per mezzo di uomini e donne che sperimentano la forza dell’amore reciproco e si spingono, nei primi secoli, in tutto il mondo annunciando un Dio che è amore e che si è fatto uomo in Gesù Cristo.
Testimoni dell’amore: l’amore di per sé è invisibile, ma si rende visibile nei gesti concreti, si percepisce negli atteggiamenti che compiamo. Per i cristiani quest’amore ha un volto concreto, storico, in Gesù Cristo, ma anche per noi questo amore si evidenzia nei gesti, negli atteggiamenti, nelle scelte concrete che compiamo.
Il testimone di quella staffetta che è il cammino della Chiesa è ora passato a noi: siamo noi chiamati a vivere cristianamente e annunciare al mondo che Gesù è in mezzo a noi e che la sua presenza cambia la vita, gli dona un senso, una gioia che altrimenti non sperimenteremo. Siamo noi, presenti qui, ogni domenica, per celebrare questo amore e ricevere quell’alimento che ci sostiene, ci risana, ci spinge ad amare, siamo noi a formare la Chiesa. E la nostra testimonianza, in un mondo che oggi torna sempre più ad ignorare Dio, è quella di vivere nell’amore: essere genitori e figli capaci di gesti di perdono, di riconciliazione, di amore, lavoratori o studenti onesti che fanno del loro lavoro o del loro studio un mezzo per amare.
Siate sicuri: l’amore, anche quello crocifisso dalle sofferenze e dalle difficoltà, si nota e contagia. Possa anche a noi capitare, come succedeva per le prime comunità cristiane, che la gente di fuori esclami: “vedi come si amano?” e siano da ciò invogliate a imitare la stessa vita.
- “Andate dunque” e “battezzate” (= immergetevi e immergete anche gli altri nella realtà divina, in quell’amore trinitario che è reciprocità nella specificità di ciascuno)
- “Ogni potere mi è stato dato”: tutto viene da Dio, anche le azioni e le parole di Gesù, tanto più ogni nostro “potere”. E se qualcosa l’ho ricevuta, posso solo ringraziare, non pavoneggiarmi e spadroneggiare!
- “Riceverete la forza dallo Spirito Santo e mi sarete testimoni…”

Giovanni 20,19-23

Pentecoste - Anno A

La sera di quel giorno, il primo della settimana, [...] venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

Ermes Ronchi:
La casa fu piena di vento, e apparvero loro come lingue di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno. E ognuna accende un cuore, sposa una libertà, consacra una diversità.
Lo Spirito dà a ogni creatura una genialità propria, una santità che è unica. Tu non devi diventare l'opposto di te stesso per incontrare il Signore, per essere santo. In Gesù, Dio ha riunificato l'umanità in un popolo di fratelli. Nello Spirito fa della mia unicità e diversità una ricchezza.
La Chiesa come Corpo di Cristo è comunione; la Chiesa come Pentecoste continua è invenzione, poesia creatrice, ricerca. Come due tempi di un solo movimento. Nel Cristo siamo uno, nel soffio dello Spirito siamo unici.
Mentre erano chiuse le porte del luogo venne Gesù, alitò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo. Negli Apostoli respira ora il respiro di Cristo, quel principio vitale e luminoso che lo faceva diverso, quella intensità che faceva unico il suo modo di amare, che spingeva Gesù a fare dei poveri i principi del suo Regno, che ha reso forte il suo volto, scrive Luca, come quello di un eroe, e tenero come quello di un innamorato...
Il perdono dei peccati è l'impegno di tutti coloro che hanno ricevuto lo Spirito, donne e uomini, grandi e bambini. Perdonate, che vuol dire: piantate attorno a voi oasi di riconciliazione, piccole oasi di pace in tutti i deserti della violenza; tutto intorno a voi create strade di avvicinamenti, aprite porte, riaccendete il calore, riannodate fiducia. Moltiplichiamo piccole oasi e queste conquisteranno il deserto.

2 Corinzi 13, 11-13

Perché il Dio trinitario sia in mezzo a noi e in ciascuno di noi dobbiamo tendere a realizzare quanto Paolo chiede ai Corinti:

> essere GIOIOSI (e non dei pessimisti musoni)
> tendere alla PERFEZIONE (e non adagiarci alla nostra mediocrità: non basta non odiare gli altri per essere cristiani: dobbiamo amarci reciprocamente, aldilà del fatto che l’altro ci dia motivo per amarlo, anzi, imparando ad amare anche quelli che ci fanno del male)
> INCORAGGIARCI a vicenda (perché tutti noi viviamo momenti difficili e questi momenti si superano con l’aiuto degli altri, sentendo che non siamo soli, che c’è qualcuno che tifa per noi)
> avendo gli STESSI SENTIMENTI, imparando a condividere gioie e sofferenze con gli altri, a non rimanere indifferenti rispetto a quello che gli altri vivono, così come una Madre e un Padre che non possono rimanere indifferenti rispetto alla gioia e alla sofferenza del figlio
> vivete in PACE: quanti litigi, quante divisioni, quanto orgoglio, superbia, invidia c’è tra di noi. Quanta chiusura nei confronti degli stranieri, quanto timore. Imparate a vivere in pace!

Solo allora il Dio dell’amore e della pace sarà con voi e la vostra vita ritroverà quella felicità a cui tutti aspiriamo, ma che troppo spesso cerchiamo nei modi e nei posti sbagliati.

Giovanni 3,16-18: Crediamo all'amore di Dio per noi

Santissima Trinità - Anno A

In quel tempo, disse Gesù a Nicodèmo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui (...)».

Ermes Ronchi:
La Trinità: un dogma che può sembrare lontano e non toccare la vita. Invece è rivelazione del segreto del vivere, della sapienza sulla vita, sulla morte, sull'amore, e mi dice: in principio a tutto è il legame.
Un solo Dio in tre persone: Dio non è in se stesso solitudine ma comunione, amore, reciprocità, scambio, incontro, famiglia, festa.
L'uomo è creato a immagine della Trinità. E la relazione è il cuore dell'essenza di Dio e dell'uomo. Ecco perché la solitudine mi pesa e mi fa paura, perché è contro la mia natura. Ecco perché quando amo o trovo amicizia sto così bene, perché è secondo la mia vocazione.
In principio a tutto sta un legame d'amore, che il Vangelo annuncia: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio». Nel Vangelo il verbo amare si traduce sempre con un altro verbo concreto, pratico, forte: il verbo dare. Amare equivale a dare, il verbo delle mani che offrono. Dio ha tanto amato il mondo. Non solo l'uomo, è il mondo che è amato, la terra e gli animali e le piante e la creazione intera. E se Lui ha amato, anch'io devo amare questa terra, i suoi spazi, i suoi figli, il suo verde, i suoi fiori, la sua bellezza. Terra amata. La festa della Trinità è specchio del mio cuore profondo e del senso ultimo dell'universo. Incamminato verso un Padre che è la fonte della vita, verso un Figlio che mi innamora, verso uno Spirito che accende di comunione le mie solitudini, io mi sento piccolo e tuttavia abbracciato dal mistero. Piccolo ma abbracciato, come un bambino. Abbracciato dentro un vento in cui naviga l'intero creato e che ha nome comunione.

Io:
- Finito il tempo di Pasqua la liturgia ci invita ad evidenziare quelli che sono i fondamenti della nostra fede, a partire dal primo: Dio è Trinità, è Uno e insieme Trino.
- Sembra una questione da riservare ai teologi (se non ai matematici) che poco ha a che vedere con la nostra vita quotidiana: cosa ci cambia se Dio è Uno o Trino?
- Eppure la nostra fede si alimenta, per fortuna, di gesti che fanno continuamente riferimento a questa realtà, e tra questi il più ricorrente è senza dubbio il SEGNO DELLA CROCE: è nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo che abbiamo iniziato questa (e ogni) celebrazione, così come, speriamo, nello stesso modo diamo inizio e fine alle nostre giornate, ad ogni momento di preghiera, ad ogni incontro con Signore, entrando in Chiesa o preparandoci a vivere qualcosa di importante.
- E’ solo un gesto scaramantico o di routine? Il rischio ovviamente c’è, ma d’altra parte la nostra fede richiede gesti esteriori che ci richiamino a realtà interiori, spirituali, e cosa c’è di più significativo di poter dire con quel gesto: Dio mio, aiutami a vivere questa giornata o questo evento nel tuo nome, con te accanto, come mia guida e mio riferimento.
- Oggi il nostro segno di croce è stato seguito dalla formula paolina che abbiamo ascoltato nella 2° lettura: la GRAZIA (ovvero il dono) del Signore nostro Gesù Cristo, l’AMORE di Dio Padre e la COMUNIONE dello Spirito Santo sia con tutti voi: abbiamo con S.Paolo dato una connotazione importante a ciascuna delle tre persone divine che sono tra loro distinte, ma talmente unite da formare una sola cosa.
- Ma prima di tornare a queste dimensioni teologiche e soprattutto alle conseguenze pratiche che possiamo trarne, vorrei chiarire una cosa: cosa c’entra la CROCE , uno strumento terribile di morte, con la TRINITA’?
- Indirettamente risponde Gesù stesso che, nel brano del Vangelo ascoltato, dice a Nicodemo (importante personaggio della gerarchia ebraica che si rivolge a Gesù di notte): “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito”. Chi ama veramente DONA all’amato ciò che ha di più prezioso: la sua stessa vita donata perché possa essere condivisa con l’amato. Dio acquisisce un volto umano, visibile e vicino a quello di ciascuno, in Gesù, e allo stesso tempo Gesù mostra il volto di Dio in quell’atto d’amore estremo che è il dono della sua vita.
- E aggiunge: non sono stato mandato nel mondo per condannarlo, ma per salvarlo, per dargli la forza e le indicazioni perché ritrovi la via giusta. Ma chi non crede si è auto-condannato: si è escluso da tutto ciò, vive senza Dio e così vive una vita prima di colui che può dare senso e gioia alla nostra vita.
- In tutto il Vangelo Gesù ci insegna a chiamare Dio Padre, a considerarlo come un genitore che ha a cuore la nostra felicità, ma ci svela la dimensione divina d’amore quando, amandoli fino alla fine, dona la sua vita e il suo Spirito per metterci in comunione col Padre.
- La croce è dunque il segno di questo amore estremo, di un amore che si dimostra più forte del peccato e della morte, ma un amore che è tale già all’origine e lo è sempre: da sempre e per sempre Dio è comunione, amore. Non è un Dio solitario, ma un Dio amante.
- Dio non solo ama veramente, ma è Amore in sé stesso, apertura e donazione di sé: l’amore non può essere solitario, non ammette solitudine, ma è apertura agli altri, ricerca e donazione per gli altri, l’amore è dinamismo che genera vita.
- La croce è un segno che ci richiama la dimensione verticale (dal Padre al Figlio) da non separare dalla dimensione orizzontale, quella dello Spirito Santo che è comunione, che guida la Chiesa , che ci spinge a riconoscerci fratelli per il fatto di essere figli dello stesso Padre.
- In una cultura profondamente monoteistica, che considera una bestemmia sacrilega l’idolatria, l’adorare altri dei, ecco che Gesù ci mostra con originalità e coraggio il volto di Dio: un Dio che è Padre, Padre suo e Padre nostro, un Dio che è, come rivela a Mosè, tornato sul monte per ristabilire quella comunione incrinata dall’idolatria del suo popolo (siamo appena dopo l’episodio del vitello d’oro) “misericordioso e pietoso, lento all’ira e grande nell’amore”.
- Dio cerca e crea comunione, relazione: crea il mondo per amarlo e nel mondo crea l’umanità come sua IMMAGINE, suo PATNER, capace di ricevere e ricambiare tale amore.
- Essere creati a immagine di Dio significa che per realizzarci, per trovare la nostra vera identità e quindi la nostra felicità, dobbiamo anche noi sperimentare lo stesso amore, relazione, comunione. Solo se ci lasciamo amare e da tale amore troviamo il motivo e la forza per amare a nostra volta gli altri, possiamo essere ciò che siamo.
- Che Dio sia Uno e Trino significa per noi tendere alla stessa Unità divina nel rispetto della differenza reciproca, nel riconoscimento che siamo unici e irripetibili, che abbiamo bisogno degli altri, non possiamo bastare a noi stessi.
- L’unità non è sinonimo di uniformità, ma frutto dell’incontro con l’unicità di ciascuno. Come cristiani siamo chiamati a ricercare e realizzare l’unità con tutti, compresi quelli che non credono o credono in un Dio che ha un volto diverso dal nostro, ma non per questo è in contraddizione col nostro.